SCROLL DOWN - English speakers should learn Italian (insieme a Beuys, Fontana, Duchamp, Boetti, Cattelan, Giacometti)

luca rossi
per un tempo indefinito


















L'ecologia dell'arte di Luca Rossi 



Noi non cesseremo l’esplorazione
E la fine di tutte le nostre ricerche
Sarà di giungere là dove siamo partiti,
E conoscere quel luogo per la prima volta.

T.S. Eliot – Quattro quartetti



(..) "mi interessa che l'opera sia una sorta di buco nero che risucchia il processo che va dall'accensione delle luci nello studio dell'artista fino all'ultimo spettatore che esce dal museo. Questo avviene guardando quell'opera. Non mi interessa altro, solo il dato scultoreo per riempire uno spazio. Sono tutti "rossi", una scelta stupida, le soluzioni intelligenti trovano subito gli anticorpi." (..) 

Luca Rossi 




Quella a cui costringe Luca Rossi è un'ecologia dell'arte, come reazione ad una sovraproduzione di opere e progetti, la cui unica discriminante sembra essere la selezione da parte delle pubbliche relazioni considerate "migliori" e più attendibili. Il curatore sembra avere il coltello dalla parte del manico, mentre gli artisti sembrano sfumature deboli, omologate e intercambiabili per il "dipinto curatoriale". Ma non essendo il curatore propriamente un artista, come per esempio il regista che coordina un'opera realmente unitaria, il risultato finale è un vuoto. Cosa rimane delle Biennali e delle mostre da qualche anno a questa parte? Forse il nome del curatore e qualche barlume di opera. Un vuoto mascherato da sovraproduzione. 

Per tanto è necessaria una profonda ridefinizione di ruolo dove l'artista, comunemente inteso, decide di fare tre passi indietro rispetto all'ammucchiata della sovra-produzione e del sovra-possesso di cose e di opere. Per questo nel caso di Luca Rossi non parlerei di una nuova avanguardia, ma di una "retroguardia". Non tanto un'azione volta a criticare tutto e smaterializzare tutto, quanto un'azione volta a stimolare una lettura critica delle opere, anche partendo da domande e interrogativi elementari e frontali. Le opere e i progetti di Luca Rossi sono delle conseguenze.





Cy Twombly : (silenzio)


“La gente non vuole più fare il pubblico, né l'allievo, 
vuole entrare nella cosa, ossia sente che c'è già dentro.”





Luca Rossi come blogger è prima di tutto uno "spettatore speciale", o uno spettatore-curatore che decide di "curare" realmente la propria visione e lettura delle cose. Per tanto nel ruolo di blogger troviamo una fusione e confusione di più ruoli: artista, critico, curatore, spettatore, commentatore, addetto stampa, direttore di rivista, ecc ecc. Seguendo dal suo inizio il percorso del Blog Whitehouse, possiamo delineare tre anime: un'anima critica, che si sviluppa sul blog ma soprattutto nei commenti e in numerosi articoli su riviste di settore; un'anima progettuale, e quindi un linguaggio che è disceso spontaneamente dal percorso critico, e infine la definizione di un progetto concreto per l'education e quindi finalizzato alla divulgazione e all'allargamento del pubblico dell'arte. 

A mio parere l'anima progettuale-linguistica è quella più interessante, perchè è capace di contenere le altre due. Infatti ogni opera d'arte ha sempre una valenza critica: se io scelgo, per esempio, il nero significa che ho deciso, criticamente, di escludere tutti gli altri colori. E quindi ci saranno della ragioni e delle motivazioni per la mia scelta critica. Allo stesso tempo il linguaggio di Luca Rossi, capace di entrare nel privato di ognuno di noi tramite il blog, tende a stabilire con lo spettatore una relazione diretta, dialettica e continuativa, all'interno della quale confrontarsi sull'opera e sul suo presunto "valore". 



"Se l'arte non avesse una valore per la nostra vita di tutti i giorni, potremo benissimo seppellire l'arte" (Luca Rossi). 

"Quando diciamo di non capire un'opera d'arte, diamo per scontato di capire tutto il resto. Ne siamo sicuri? O l'opera d'arte agisce come una spia luminosa, che ci avvisa che forse non stiamo capendo tutto il resto? 
C'è la pretesa stupida e romantica che l'arte debba essere diretta, immediata e democratica, quando questo non avviene per nessun ambito umano. Se entriamo in un Tribunale, in una Sala Operatoria o alla Borsa di Milano, possiamo dire di capire tutto? Non credo. E cosa succederebbe se il paziente dovesse capire immediatamente tutte le cose e le pratiche di una Sala Operatoria? Il paziente morirebbe. 
Anche nell'arte servono strumenti, nozioni e conoscenza della storia. L'arte è come una palestra e un laboratorio, dove allenare e sperimentare modi e atteggiamenti che possono avere un valore nella nostra quotidianità" (Luca Rossi) 



Non esagero paragonando il lavoro di Luca Rossi a quello di artisti come Duchamp, Burri, Fontana o Manzoni. Come per questi artisti l'opera di Luca Rossi apre, in definitiva, ad una nuova dimensione di libertà. Le opere di Luca Rossi finiscono sempre dove si trova l'osservatore, e per un tempo indefinito. La dimensione privata e locale dell'osservatore coincide con quella dell'autore, in uno scambio potenzialmente paritetico. Questo nella convinzione che l'unico "spazio politico" per un cambiamento e una rivoluzione sia il nostro spazio quotidiano e locale. Ogni scelta in questo spazio può essere cento volte più forte di una tendenza globale. Ognuno di noi può vincere "uno a zero" contro il Presidente degli Stati Uniti. Semplicemente ci rassicura e ci consola pensare che esista un'azione globale che ci sovrasta e verso la quale non possiamo fare nulla. 

Il problema non è più il nuovo o l'innovazione, e neanche la "partecipazione" alla mostra. L'urgenza di Luca Rossi è una consapevolezza dell'opera rispetto alle intenzioni dell'autore e al contesto in cui l'opera è collocata. Allo stesso tempo Luca Rossi può partecipare e intervenire ovunque, per tanto la cosa importante sembra la responsabilità di questa partecipazione, riferita specificatamente alla sovra-produzione e al sovra-possesso.

L'ecologia dell'arte di Luca Rossi riduce al minimo la produzione, comunemente intesa, e soprattutto l'energia consumata per l'ennesimo progetto. Autore e osservatore potrebbero rimanere immobili dove si trovano. Allo stesso tempo "quello che già possediamo" sembra sufficiente per avere l'opera. L'opera, come elemento convenzionale ed oggettuale, rimane ad uno stadio potenziale, e sembra una conseguenza non sempre necessaria. 

CG
















































Ordinate una pizza dal Martedì alla Domenica, dalle 10 alle 19 e il Giovedì dalle 10 alle 22, da far recapitare a Bergamo in Via San Tommaso 53. Potete ordinare da ogni parte del mondo cercando su Google "pizzerie asporto Bergamo". 

materiali vari, pizze, polvere, piccole macchie sullo schermo del computer, azione degli utenti.
2014.
























































Adesso dove sei

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10 settembre 2001

fotografia incorniciata, pittura a parete, tempera traslucida sul pavimento.
2014


























































Tutto intorno a te

materiali vari, terra, grafite.
2014.







































...plays...

il museo, luce solare, polvere, macchie, uno schermo.
2014

























































I'm not Roberta

11 cornici bianche, petrolio, cenere, sabbia, un testo, una preghiera, attesa collettiva in 11 aereoporti internazionali, immagini. 
2014


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Se non capisci una cosa cercala su You Tube

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2014.







Vi-Hagra Bicocca





SCROLL DOWN - Chi parla inglese dovrebbe imparare l'italiano
GAMeC 
prossimamente





































L'Hangar Bicocca chiama installazioni voluminose che condannano necessariamente lo spazio a diventare un sorta di "luna park per adulti". Ogni opera sembra l'ennesima giostra da attraversare, spesso banalmente, e con cui interagire quasi forzatamente. Basta pensare al grande gonfiabile di Tomàs Saraceno, i padiglioni da visitare come tante piccole case delle streghe di Micol Assael; in corso la mostra di Cildo Meiereles con altrettanti padiglioni da attraversare, e in un caso, come per Saraceno, togliendosi le scarpe. Togliersi le scarpe è sinonimo di interazione spinta. 

Gli spettatori sembrano costretti ad una passività che li vede come scimmiette e criceti. Questo può essere molto fastidioso. Ma la colpa non è del Direttore e del Curatore, quanto del vincolo di uno spazio enorme (diremo vi-hagra bicocca) in relazione alle finalità del museo: coinvolgere e attirare un pubblico ampio. 
Lo spettatore adulto deve essere intrattenuto, interessato, formato e coinvolto; tutto questo con il solo momento della mostra. Questo crea uno strabismo, come se volessimo insegnare proponendo, dal primo giorno di scuola, solo compiti in classe. I compiti in classe renderebbero delusi gli studenti (pubblico) che non sarebbero in grado di risolverli, e gli insegnanti (l'istituzione) che avrebbe studenti delusi e ignoranti. 

Durante una recente intervista per la Radio Svizzera, al Direttore di Hangar Bicocca Vicente Todolì è stata riportata la mia critica: mostre che sembrano luna park per adulti. Se cliccate su questo link potete ascoltare l'intervista integrale:




Todolì ha risposto che se l'Hangar Bicocca fosse un Luna Park chiuderebbe dopo due giorni...dal momento che non si paga il biglietto e tutto viene supportato da un grande sponsor come Pirelli, qualsiasi cosa che venisse fatta all'Hangar Bicocca avrebbe successo. Vicente Todolì parla di 400.000 visitatori in due anni. Quando mi sono recato all'Hangar Bicocca nessuno mi ha dato un biglietto e ha registrato la mia presenza. Come fa il museo ad emettere questi dati? 

La verità è che per Pirelli l'affluenza del pubblico è del tutto irrilevante (al di là delle apparenze), l'Hangar Bicocca deve semplicemente essere una grande insegna luminosa che sostiene Pirelli nella comunità come impresa buona e benefattrice. E sembra che il pubblico debba essere coinvolto all'interazione quasi forzatamente, spesso con modalità banali. Il primo gesto per l'interazione banale è togliersi le scarpe. Sembra che togliersi le scarpe sia la soglia per poter veramente interagire con l'opera d'arte. Nelle ultime tre mostre è successo due volte: per il grande gonfiabile trasparente di Tomàs Saraceno (molto simile ai gonfiabili che nelle piazze accolgono i bambini per giocare) e per una delle opere attraversabili di Cildo Meiereles. 

L'amico che ha fatto la trasmissione per la Radio Svizzera, rispetto queste mostre come luna park, mi ha scritto che l'arte riflette la società. A mio parere questa giustificazione non regge. Soprattutto se alcune istituzioni si fregiano di fare un lavoro prezioso e sofisticato per il bene della comunità, e per la cultura. Allora tanto vale andare a San Siro, o al Multisala vicino ad Hangar Bicocca con 18 sale. In cosa si differenzia il museo? Quale il valore dell'opera? Rispetto una società estremamente propositiva e ricca di input per il pubblico?

La mostra è erroneamente considerata un momento didattico che allo stesso tempo deve essere formativo, ludico, educativo e riflessivo. Questo non è possibile. 

Non ci sono altri momenti, oltre alla mostra, per interessare, stimolare e formare un pubblico adulto; anche perchè un pubblico vero ed adulto esprime poi un giudizio vero ed adulto, e questo diventa molto pericoloso per l'istituzione che deve mantenere buoni rapporti con la comunità di riferimento. Come è possibile fare bella figura con la comunità di riferimento se il pubblico avesse gli strumenti per criticare le mostre? 

Prima di tutto vi invito a riflettere quando questa sera vi toglierete le scarpe per andare a letto: state per attraversare un'opera di Luca Rossi. E nel letto potrà succedere di tutto, fino anche i sogni. 

Inoltre vorrei che l'Hangar Bicocca diventasse una nuova ed unica opportunità per lo spettatore. Vorrei formare operatori che argomentino ossessivamente il valore delle opere d'arte. Questo anche partendo dalle cose e dagli elementi che sono già presenti in Hangar Bicocca, quando lo spazio è vuoto. O anche nello spazio occupato dalle Torri di Kiefer. 

Lo spazio sarà vuoto. Ma in realtà non lo sarà, perché non lo è mai. 


(in attesa di replica del curatore Andrea Lissoni)











Freestyle


100 persone che, nello spazio vuoto del museo, cercano di argomentare ossessivamente il valore delle opere/cose che ci sono già all'Hangar Bicocca.




sommario






Cy Twombly : (silenzio)
“La gente non vuole più fare il pubblico, né l'allievo, 
vuole entrare nella cosa, ossia sente che c'è già dentro.”

































                  



        
                               




























Articoli pubblicati su Flash Art Italia


Terzo Dialogo con Roberto Ago



























Realtà aumentata


10 settembre 2001 (installation view)
Galleria Massimo Minini
2014




L'etica protestante e lo spirito del capitalismo è un saggio dell'economista, sociologo, filosofo e storico tedesco Max Weber (1864 - 1920) in cui si identifica nel lavoro come valore in sé l'essenza delcapitalismo e riconduce all'etica della religioneprotestante, in particolare calvinista, lo spirito del capitalismo.
In questo libro Weber sostiene che il successo personale in campo lavorativo, viene percepito dalla religione protestante come segno della grazia di Dio.
In italia negli ultimi 30-40 anni l'Istituto d'arte viene consigliato agli studenti meno brillanti, come spazio in cui lo studente è libero di esprimersi in una situazione professionale percepita come facile e come ambito del tutto può andare.
In realtà il centro dell'opera d'arte si è spostato, non è dove artisti, pubblico ed esperti pensano che sia. La figura del curatore ha esacerbato questo vuoto, la dove si pensa ci sia l'opera d'arte. La mostra non è come un film opera unitario, e gli artisti non sono attori che partecipano ad un film, ma forniscono standard, come sfumature al dipinto curatoriale. Ma in questo dipinto non c'è l'opera. D'altronde le file di artisti sono gonfie e la produzione di opere non ha ritegno. Serve fortemente una figura come il curatore che possa selezionare, dare ordine e rendere significativo ciò che da solo non lo potrebbe essere.
Mentre il sistema dell'arte continua a produrre opere, senza capire bene quale sia il valore, ma con prezzi ben chiari, la nuova frontiera del mondo normale sono le stampanti 3D. In un futuro prossimo chiunque può stampare oggetti di plasticona, l'artista direbbe altre opere. Oggetti. Avere oggetti sempre più disponibili ed economici, significa procurarsi accessori per essere felici. O meglio, avere certi oggetti ci permette di organizzare al meglio le cose, e così saremo tutti felici.
Con la stampante 3D posso avere tutto? Ma cosa vogliamo? La risposta cambia da persona a persona. Ma siamo sicuri che il progresso e la crescita siano nella possibilità di avere tutto? Di avere opere e oggetti?
Tutto è arte, e soprattutto tutto è arte concettuale. Nel senso che ogni oggetto che vediamo nel mondo ha delle ragioni e motivazioni. Discende da concetti e considerazioni precise. L'oggetto come l'opera sono testimoni di concetti, ragioni, motivazioni, modi, atteggiamenti e particolari visioni. In queste cose risiedono i valori (gratuiti) dell'opera, come degli oggetti. Cambiando i titoli di questi oggetti-opera possiamo cambiare il loro valore. Se cambiano le didascalie di una mostra, cambiano la mostra; se cambiamo le didascalie del mondo, cambiamo il mondo. La stessa stampante 3D è un oggetto, a cui possiamo dare tanti titoli diversi.
Titolare le cose significa vivere una realtà aumentata. Se ci affidiamo di questo servizio innovativo, disponibile su smartphone, nel visore del cellulare vicino alle cose appaiono informazioni. Titoli. Le informazioni, come vediamo nei giornali, sono fatte da testo e immagini. Come su un quotidiano potremo avere un museo di solo testo e immagini, che può entrare nelle nostre case e nel nostro privato con un semplice blog. Nel silenzio, o in treno nel brusio, come sono adesso.

RE-PRINT: Dialogo con Valentina Vetturi, Cesare Pietroiusti e Luca Rossi (agosto 2010)








LR -Cosa significa oggi "valore" dell'opera d'arte?  Il valore economico è relativo ad un sistema di mercato, e il valore "artistico"?

CP- provo a risponderti con termini squisitamente marxiani. l'arte ha sia un valore d'uso che un valore di scambio. quest'ultimo non è, però, il valore monetario dell'oggetto d'arte scambiato con una certa quantità di denaro, ma è la capacità che una certa opera possiede di scambiare significato cioè di promuovere un processo di produzione di senso che va non soltanto dall'opera all'osservatore, ma anche da quest'ultimo all'artista (il quale quindi dovrà in partenza accettare che il significato della sua opera è sempre a-venire). l'arte, come ho già detto in altre occasioni, è di chi la capisce e non di chi ha i soldi per comperarla; di chi è in grado di scambiare significato con essa, e quindi di continuare a darle vita, e non di chi scambia il proprio denaro con un oggetto, che poi si possa vendere di nuovo, ad un prezzo più alto. è vero che a volte un elevato valore di mercato di un'opera corrisponde ad una elevata qualità (in termini di produzione di senso) della stessa, ma sappiamo tutti molto bene - nonostante gli sforzi dei media e dei circuiti commerciali dell'arte - che non sempre è così. l'opera "ingabbiata" in un alto valore di mercato, inoltre, rischia di entrare in un circuito mediatico in cui il suo significato viene offuscato da altri elementi: lo staus symbol, la lungimiranza (o la follia) dell'investimento, i giochi di potere sottostanti ecc. e così tutta l'attenzione si sposta dall'arte al pettegolezzo.   
per quanto riguarda invece il secondo "valore", direi che l'arte è qualcosa che si può usare nel senso che anche l'opera più "bella", ovvero dotata di eccelsa sintesi formale e ottimo impatto sui nostri sensi (vista, ma non solo) può essere considerata un mezzo e non un fine, uno strumento per la creazione di un territorio di nuove possibilità di azione e di pensiero. L'arte insomma ha un grande valore d'uso: può essere usata per produrre libertà. 

VV Mi piace molto questa concezione dell’arte come produttrice di libertà. Per rispondere alla domanda di Luca introduco nella conversazione un altro tipo di valore, che considero direttamente proporzionale al valore “artistico” e che nomino valore “dell’esperire”. Sono convinta che il valore di un’opera d’arte sia strettamente collegato alla sua capacità di generare un’esperienza, non solo visiva. Un’esperienza di identità , di messa di discussione di identità in chi la produce, in chi la fruisce e viceversa.
Voglio citare le opere di due artisti che amo  in questo periodo, “Diálogo: Óculos” (1968) della brasiliana Lygia Clark, e “Intellettuale. Il Vangelo secondo Matteo di/su Pier Paolo Pasolini”(1975) di Fabio Mauri.  Due artisti e due opere molto diverse fra loro, che per me, costituiscono un illuminante esempio di opere d’arte “di valore” capaci di generare un’esperienza di identità , di dislocamento nella percezione dell’identità e  quindi di produzione di libertà.

LR- Va bene, l'opera innesca uno scambio di  significato e si "usa" per produrre libertà . Mi viene da dire che potremo eliminare i nomi degli artisti e concentrarci sulla diffusione di una certa alfabetizzazione linguistica. In questo senso ci sono tantissime opere interessanti che nascono dalla ricombinazione di diversi ingredienti. Mi sembra che una tendenza di questi anni sia la formazione di un grande esercito di "giovani artisti". Una grande sensibilità che è in grado di filtrare ed elaborare il meglio del 1900. Molte opere nascono da un linguaggio che rischia di diventare archetipo spuntato e rassicurante. In questo caso la reiterazione del medesimo linguaggio  mette tutti al riparo dalla "mettersi in discussione". L'opera non può essere strumento per la "libertà" perchè agisce all'interno delle logiche prevedibili del "carcere". Ditemi se sbaglio.
 In questo senso mi sembra molto interessante il progetto di Cesare di approfondire e ricercare l'arte italiana in "esilio", cioè fuori dai canali tradizionali. I risultati potrebbero anche essere deludenti, ma anche inaspettati.

CP le principali strutture carcerarie per un artista (di conseguenza per la sua opera) sono tre: le istituzioni, il mercato e i media. la prima è collegata alla paura di non essere riconosciuto, di non essere "nessuno" e questo porta molti ad accettare le regole delle istituzioni che, in apparenza ma anche in effetti, garantiscono una qualche forma di riconoscibilità. a questo carcere non si sfugge, perché in un certo senso la presenza "istituzionale" è necessaria, certamente come una sponda con cui confrontarsi dialetticamente ma, ancora prima, come contesto all'interno del quale si sviluppa condivisione di linguaggi.

LR Questo lo trovo giustissimo. Credo che in una primo momento, soprattutto nella fase attuale, sia necessario staccarsi da un certo "professionismo dell'arte". Per come è organizzata la nostra società questo non può avvenire perchè il giovane studente  viene subito spinto alla professionalizzazione forzata. In questo modo diventa fondamentale il boom anni 60, e quindi la Nonni Genitori Foundation che permette a molti giovani di mantenere con il sistema un'indipendenza coivolta. Non ci sono artisti figli di operai? O forse quando ce ne sono, sono migliori?

VV- Di rado ci sono artisti figli di operai.  E’ un dato di fatto da cui non si può prescindere. E’ molto difficile per un/una artista giovane riuscire a vivere del proprio lavoro,  la prassi dominante è quella dell’invito alla produzione non retribuita. A questo dato si aggiunge l’ esigenza di riconoscibilità da parte delle istituzioni che è aspirazione necessaria e allo stesso tempo fattore di “rischio” della capacità di sperimentare, della capacità di infrangere anche dall’interno le regole imposte dal “carcere”  e soprattutto rischio dell’ intorpidimento del percorso di ricerca. Essere consapevoli dell’esistenza di queste costrizioni è condizione essenziale per evadere questi rischi, non sono tuttavia sicura che sia sufficiente a oltrepassarli.
Altra cosa interessante è come molti operatori, iscritti a questa fondazione, cerchino (in qualche modo) di cancellare le loro "radici" che paradossalmente li stanno "mantenendo".

LR: In questo senso su Whitehouse sto cercando di commettere un azzardo. E quindi una tensione nel voler sintetizzare, in un unico punto, tutti i livelli del sistema. In questo modo si crea una piattaforma schizofrenica e autoreferenziale che può bypassare il sistema. Su Luca Rossi si sovrappongono tutti i ruoli del sistema (spettatore,critico,artista ecc).  Questa idea non implica la distruzione o esclusione del sistema.Cosa pensate di questa tensione?
CP- in effetti le istituzioni ricalcano il funzionamento del linguaggio - norme rigide, difficili, stringenti ed escludenti, ma anche campo di possibilità di relazioni. se però la paura dell'esclusione prevale, allora il linguaggio verrà usato in modo limitato e convenzionale e l'attitudine sarà quella di un'accondiscendenza che garantisce forse riconoscibilità immediata ma anche una condivisione soltanto superficiale.
la seconda strettoia è quella delle leggi di mercato, la presunta trascendente oggettività del valore economico. se si accetta supinamente l'equivalenza valore culturale - valore monetario, allora ci si ingabbia nel più prevedibile e stupido dei carceri.
la terza è quella dei media, la pericolosissima tendenza a convincersi che esiste, che è reale, soltanto ciò che passa in televisione o sui giornali.
credo che sia controproducente però prendere queste gabbie "di petto", in modo antagonista e con attitudini esclusivamente distruttive: a me interessano di più le strategie sottili, che usano in modo imprevedibile e paradossale anche gli elementi problematici o negativi, all'interno di un altro gioco, che non è più il loro. di nuovo è la stessa cosa dell'uso poetico (o, se preferisci, sperimentale) versus quello convenzionale del linguaggio.      

LR- Capisco quello che dici e condivido. Mi sembra molto stuzzicante organizzare un altro gioco che non è più il loro. A volte però una strategia invasiva e oltraggiosa può essere una strada sottile. Perchè si commette l'azzardo di abbandonarsi in un mare pericoloso. Si prende tutto sul serio, si gioca con tutto. Si prende consapevolezza delle sbavature e di tutte le problematiche annesse. Mi viene in mente un'opera, una stanza di john bock. Usare tutto, immergersi, sporcarsi inevitabilmente, pensare, agire.
Credete sia possibile dare un valore oggettivo alle "opere"? Rispetto alla storia e al presente.

CP- Non credo nell'assolutezza e nell'oggettività, ma mi rendo conto, mentre dico questa frase - indubbiamente molto "generalizzante" - di cadere io stesso in una sorta di antinomia.
l'arte in tanto produce libertà in quanto mette in discussione criteri e presunzioni di assolutezza e di oggettività di giudizio. secondo julia mastrogiacomo l'artista "ha un potere che è dato dal riconoscimento di essere portatore di un certo significato, che (...) si verifica di volta in volta (idea per idea, opera per opera, mostra per mostra) e che può essere confermato oppure no. Anche se ci sono fenomeni che si oppongono a ciò (meccanismi di stabilizzazione, come il valore di mercato) l'artista-leader  rimette costantemente in discussione le gerarchie", nonché i giudizi di valore assoluti ed oggettivi. 

LR- Ecco, credo che questa necessità di mettersi (e mettere) in discussione sia fondamentale.
Io credo che sia possibile emettere un giudizio oggettivo su alcune opere d'arte, mettendole in relazione alla data di nascita dell'artista(tenedno presente la storia). Penso che si possa (quasi) sempre distinguere tra arte "in tensione" e una sorta di "artigianato" dell'arte contemporanea (questo termine lo uso con grande rispetto e senza offesa). Va bene Martin Creed, però 20 giovani che girano attorno a questo tipo di lavoro diventano parificabili ad una sorta di "artigianato". Piuttosto troverei più interessante un giovane di 20 anni che decide di fare solo tagli di Lucio Fontana. In modo continuo e rigoroso. Questo almeno creerebbe problemi nella riproduzione dei lavori, nel pubblico ecc ecc. Mi sembra che mettendo in relazione un 'opera e la biografia dell'artista, l'oggettività dell'opera possa tendere ostinatamente al 100%. Forse sono troppo severo. Ma mi sembra possibile, all'interno delle due categorie non perfettamente definite fra loro) di arte "in tensione" e artigianato .
Ciò nonostante credo che sia legittimo e interessante la definizione e la diffusione di un gran numero di giovani che sanno comunicare e decifrare il contemporaneo (non solo le arti visive). Quindi anche se si tratta di artigianato (concettualmente e formalmente ben confezionato) penso che il fenomeno sia positivo. Quasi parificabile alla nascita di un nuovo "movimento artistico", privo di manifesti programmatici, giovane e trasversale ad ogni paese.

CP- sono d'accordo, anche  a me sembra che l'interesse per l'arte contemporanea sia enormemente cresciuto, specie fra giovani e studenti, negli ultimi dieci anni.
come sempre accade, l'ampliamento di interesse si porta appresso fenomeni contraddittori - comunque nello specifico mi pare di vedere più fenomeni positivi che negativi.
mi piace il tuo concetto di arte "in tensione": mi fa venire in mente il concetto trotzkyano di "rivoluzione permanente", ma anche i profetici studi antropologici di gregory bateson sulla cultura balinese, la scoperta di comportamenti comunitari (nella musica, nell'educazione, nelle dispute, nel sesso) orientati non da uno schema crescita di tensione-acme-risoluzione (che caratterizza la cultura occidentale e capitalista), ma da una tendenza a una stabilizzazione della tensione, ad una valorizzazione della tensione per se stessa.

LR Sì, credo che i giovani che si avvicinino all'arte contemporanea (non solo arti visive, ma un'interesse più ampio per la contemporaneità) debbano mettere da parte le "mode" e le proprie ossessioni personali. Questo mettere da parte implicherebbe uno spazio di stasi e di riflessione dove sia possibile osare e sbagliare. E invece le strettoie di cui hai parlato prima (istituzioni, mercato e media) mettono fretta e impediscono una fase di riflessione fondamentale.

VV- Osare e sbagliare: sono cruciali queste parole che usi.  Un/una giovane artista deve farsi carico della dose di rischio e del coraggio necessari a produrre un’opera che non segua le regole del “carcere”, che osi essere “fuori” dal sistema  economico, dei media, quindi dell’arte. Osare per fare ricerca, sperimentare territori non conosciuti, esponendosi anche alla possibilità dell’errore.

LR- Sperimentare e fare ricerca non significa eliminare istituzioni,mercato e media. Anzi questi potrebbero diventare limiti e antitesi fondamentali.

VV-  Certo, infatti prima abbiamo parlato di “condizione necessaria”  per il lavoro di un/una giovane artista.

VV-Non so rispondere propriamente alla tua domanda sull’esistenza o meno di un valore oggettivo di un’opera d’arte. Una delle definizioni di oggettivo è “imparziale, che si attiene ai fatti  senza l’intervento del soggetto” .  Di qui la mia difficoltà nel definire un valore oggettivo dell’opera. L’intervento del soggetto è inevitabile e il valore forse si definisce proprio rispetto al soggetto che tuttavia varia a seconda del contesto spaziale e temporale in cui si colloca. Credo bisognerebbe definire rispetto a chi o a cosa si definisce oggettivo il valore di un’opera.  Il mercato, la storia dell’arte, il fruitore?
Mi piacerebbe invitare a partecipare a questa conversazione qualcuno che si dichiari portatore del valore del mercato, che sia interno al sistema e ne sia convinto sostenitore. ..

LR- A volte queste questioni mi sembrano una jeep che scende giù da una scarpata molto ripida...Una sorta di relativismo estremo dove tutto può succedere. Questo può avere risvolti positivi ma anche molto negativi. Il relativismo (che ho chiamato smart relativism nelle opere di alcuni giovani artisti) può diventare il primo ostacolo al concetto di libertà.Tocco tutto ma non faccio niente.  Molte opere sono pianificabili a tavolino. Vado in australia a filmare una nuvola che si forma una volta all'anno. Lavoro perfetto, impeccabile. Non mi riesco a rassegnare a lavori "perfetti e impeccabili". Sto parlando di giovani artisti. Vedo troppe cose discendere dalla medesima sensibilità colta-giovanilistica o da ingredienti del 1900. Tutto troppo facile. Per essere colti basta una ricerca su Google. Bisognerebbe tentare una distaccamento dal 1900. Forse c'è un cordone ombelicale che anche i giovani più cool non riescono a tagliare. Viviamo uno stato di "attesa precaria" in cui i giovani, per sopravvivere, assumo atteggiamenti reazionari.
Non ho potuto assistere alla lezione di economica che avete organizzato il 13 novembre 2009 presso Trastevere 259 a Roma. Il comunicato sembrava tremendamente interessante. Cosa è emerso da questa lezione speciale? (ognuno di voi può riportare il suo punto di vista)

CP- lezione viva di economia - ci tengo a ricordare qui che è stato un evento curato da michele graglia, valerio del baglivo e daria carmi, e introdotto e guidato da paolo bergmann, e a cui hanno partecipato numerosi artisti - per me è stato un esperimento molto interessante soprattutto perché ha innescato dei meccanismi basati sulle modalità del dono, sebbene fatto in maniera non convenzionale e non stucchevolmente "altruista". diciamo che si è trattato di "giochi di dono", un modo per dare un senso di scambio e di uso anche al dono di un'opera.

VV-  Lezione Viva di Economia è stato il quinto appuntamento di una serie di incontri che a cadenza irregolare organizziamo nello studio di Cesare. Per me è stato particolarmente stimolante proprio per il suo carattere performativo.  I “giochi di dono” sono stati messi in atto nel corso della serata, il pubblico ha potuto circolare fra le varie postazioni d’artista esperire e partecipare al baratto. Provo a citare alcuni  tra gli interventi: Michele Graglia ha scambiato segreti personali e “ a bassa definizione” con chi lo ha battuto a tris, Iacopo Seri ha offerto al pubblico la possibilità di scrivere poesie, i Liquid Cat  hanno distribuito uno strano barattolo simil anni ’50 dal contenuto misterioso, Andrea Caretto e Raffaella Spagna hanno donato un kit biologico ed esperenziale a chi accettato di testare il kit, Paola Falasco ha chiesto ad ogni artista di donare  tramite prelievo qualche cc del proprio sangue (e per l’occasione Cesare ha riattivato le sue abilità di dottore in medicina!).

LR- Mi viene in mente il Natale e l'attesa dei doni. Il problema per il Natale è cosa regalare. Sicuramente interessante il concetto di dono, ma non pensate che stiamo vivendo un assenza di contenuti? Un vuoto? Che spesso ci spinge a rifugiarci nel 1900 e in citazioni colte? Dalla vostra lezione è emerso il problema del contenuto? Del cosa donare? Del cosa oggi, nel 2009, può innescare lo scambio di significato e diventare strumento di libertà? Se potete riuscite a fare qualche esempio?

CP - - lascerei questa risposta a valentina, però vorrei soltanto dire che a me interessano molto i contenuti, ma prima di tutto mi interessa l'attitudine con la quale si manifestano.

 VV-  Trovo interessante Luca questa tua domanda sul contenuto e sul senso del citare e proverò a rispondere con ordine alle tue domande.
Innanzitutto non credo stiamo vivendo un’assenza di contenuti. Penso che siano molte e urgenti le questioni che la contemporaneità ci pone e che l’arte “di valore” riesca a innescare delle esperienze critiche e  significative  in relazione a queste urgenze. Intravedo piuttosto il problema lì quando e dove si pratica una spettacolarizzazione di contenuti “poveri”.

LR- Capisco la spettacolarizzazione di conteuti poveri. Ma non vivi un disincanto sulla contemporaneità? Io vedo molte questioni che procedono su binari molto definiti e invariabili nel tempo. L'arte rischia di rimanere un passeggero che si dimena vicino al binario, e vede questi treni sfrecciare a pochi passi. Viviamo un pluralismo di contenuti che è paralizzante. Un pluralismo che ci anestetizza. Molti contenuti non significa "contenuto". Pluralismo può significare anche distrazione.

VV- Non amo coltivare il “disincanto”, né lamentarmi del momento storico in cui ci troviamo, che non è di certo esaltante.  Basti pensare alla recente cronaca politica italiana. Preferisco piuttosto attivarmi per contrastare il disincato attraverso gli strumenti che conosco. La pratica artistica è il mio modo per essere attiva e non perdermi  nelle recriminazioni.

VV- Chiedi anche se la citazione  sia da intendere come rifugio in assenza di contenuti nuovi, questo di certo è un rischio di cui è necessario essere consapevoli. Tuttavia sono anche convinta assertrice del senso e del valore del citare oggi e per questo ti rispondo affidandomi ad una citazione (!):
 <<letting the voices of others echo through my text is therefore a way of actualizing the noncentrality of the "i" to the project of thinking, while attaching it/her to a collective project *>> . (* Rosi Braidotti, Soggetto Nomade, Donizelli, 1995, trad. it. <<far parlare voci altre nei miei testi e quindi un modo per mettere in atto la non centralità del l ‘ “io” rispetto al progetto di pensiero, e riconnetterlo invece ad un progetto collettivo>> )
 Penso che queste  parole della filosofa Rosi Braidotti  sintetizzino con efficacia il senso politico del citare  e la volontà di “detroneggiare l’io filosofeggiante” che troppo spesso ancora oggi imperversa. Questa citazione inoltre è all’origine del lavoro che ho realizzato per la Lezione viva di Economia,  in cui ho scambiato e commissionato scambi di citazioni.

LR-Lo scambio di citazioni credo esemplifichi bene questa fase e sia comunque un'idea fertile.
Quella della citazione è una strada possibile e scivolosa. Forse mi sembra più utile, in questo momento, abbandonarsi all'io filosofeggiante. Osare (semmai parlare anche da soli); consapevoli dei propri limiti e dei limiti altrui. Poi la citazione può sembre tornare utile. Fanno un po' paura quei comunicati stampa o quelle opere totalmente basate su citazioni. Ma che poi potrebbero farne anche a meno. E tutto può essere giustificabile. Tutto questo può anche andare, ma ci vuole consapevolezza. Al contrario si rischia di ritrovarsi impegnati in una burocrazia della creatività. E allora tanto vale impegnarsi in contesti meno pretenziosi. Se oggi prendiamo un magazzino Ikea e il motore di ricerca di Google possiamo imbastire qualsisa tipo di mostra. Raffinata, Politica, Colta, Elegante, Stravagante, Commerciale e così via. Ecco bisognerebbe uscire da questo Google-Ikea. Questo nel momento in cui non c'è consapevolezza. Perchè un progetto Google -Ikea potrebbe anche essere interessante.

VV- Mi incuriosisce questa tua battaglia contro il citazionismo. Se è di questo che stai parlando, allora la condivido. Non amo  e trovo scivoloso il citare per giustificare e coprire un vuoto di contenuti o per pavoneggiare un presunto essere colti. Ma credo che tu abbia frainteso il senso della citazione della Braidotti e del lavoro cui ho fatto riferimento. Che piuttosto parla del senso e del valore politico del citare.

LR- non ho frainteso, la tua posizione è chiara.

VV-E con questo intendo riferirmi  a quel livello di consapevolezza che ti porta a sapere che quando sviluppi un concetto, quando crei un lavoro non lo fai in un presuntuoso vuoto cosmico,  ti collochi in un determinato momento storico e ti ricolleghi inevitabilmente ad una corrente di pensiero, ad altre persone, pensatori, artisti che prima di te hanno usato quel concetto, creato un lavoro analogo, e che magari nello stesso momento lo sta facendo anche qualcun altro. E nell’ipotesi migliore stai riuscendo a sviluppare a portare qualche passetto più avanti o più di lato insomma ad attuare uno spostamento in quel concetto. E il valore e la portata politica del tuo lavoro è anche racchiuso in questa capacità di collegarsi ad un pensiero collettivo.

LR- Quello che hai detto è giustissimo.
Infine non credo si possano definire a priori contenuti validi,  contenuti che si debba “donare” piuttosto che altri. Fondamentale è per me l’esperienza del dislocamento, della messa in discussione di identità che il dono di un contenuto, quindi l’opera genera.