Per un ecologia dell'arte





Ou Vous Etes
reggia di versailles, versailles.
luca rossi/2012.




"“Digital as a dimension of everything" was a motto coined by the Tate in 2013. If this credo hasn't come to your local art museum, it will soon. The tension/fusion between smartphone and art will clearly be one of the dominant themes of the immediate future." (Ben Davis)






Estratti da "Il Radicante" di Nicolas Bourriaud:

"E' quanto sta avvenendo in quest'inizio di XXI secolo, in cui predominano in tutti i campi del pensiero e della creazione il transitorio, la velocità e la fragilità, instaurando quello che si potrebbe chiamare un regime precario dell'estetica."

"Invece che subirla o resistervi per inerzia, il capitalismo globale sembra aver fatto propri i flussi, la velocità, il nomadismo? Allora dobbiamo essere ancora più mobili. Non farci costringere, obbligare, e forzare a salutare la stagnazione come un ideale. L'immaginario mondiale è dominato dalla flessibilità? Inventiamo per essa nuovi significati, inoculiamo la lunga durata e l'estrema lentezza al cuore della velocità piuttosto che opporle posture rigide e nostalgiche. La forza di questo stile di pensiero emergente risiede in protocolli di messa in cammino: si tratta di elaborare un pensiero nomade che si organizzi in termini di circuiti e sperimentazioni, e non di installazione permanente, perennizzazione, costruito. Alla precarizzazione dell'esperienza opponiamo un pensiero risolutamente precario che si inserisca e si inoculi nelle stesse reti che ci soffocano."







La ricerca di un nuovo equilibrio capitalitistico, e quindi la crisi, convive con una fase di grande sviluppo della tecnologia e dei mezzi di comunicazione. Come a dire, siamo poveri ma abbiamo tutti l'iPhone con il quale possiamo "partecipare", dire la nostra, e avere finalmente i 15 minuti di celebrità che Andy Warhol aveva profetizzato negli anni '60. Una democrazia dei contenuti in cui autore e spettatore coincidono significativamente: non a caso il selfie dimostra una coincidenza di autore, spettatore (il primo) e contenuto. Ognuno di noi diventa necessariamente: autore, poi spettatore e infine contenuto. Si realizza una massima di Cy Twombly: la gente non vuole più fare il pubblico o l'allievo, vuole entrare nella cosa, anzi sente che c'è già dentro. Il risultato è una sovrapproduzione di contenuti che, senza una sensibilità critica condivisa, diventa la maschera di un vuoto. In questa sovraproduzione ritorna fondamentale argomentare criticamente le opere, fare le differenze, evitare che tutto venga omologato sullo stesso piano. Nel mondo dell'arte, senza una critica capace e stimolata, le pubbliche relazioni diventano il modo per fare le differenze. Quando le pubbliche relazioni, come raggi tra punti, incontrano un luogo, ecco che abbiamo l'ennesimo "progetto", l'ennesima "opera d'arte". La stessa opera d'arte, esposta a Bari e poi alla Biennale di Venezia, cambia in funzione delle pubbliche relazioni e del luogo da cui l'opera è sostenuta. Per tanto l'opera d'arte non esiste, abbiamo un vuoto; anzi la materia dell'opera è fatta da luoghi e pubbliche relazioni. Solo una rinnovata sensibilità critica può far apparire nuovamente l'opera, può permettere di "vedere". Diversamente oggi "non vediamo".
Una rinnovata sensibilità critica che parta dall'opera d'arte in sé, per metterla in relazione al contesto (micro e macro) e alle intenzioni dell'autore. In questo modo l'arte può diventare una palestra dove si confrontano artisti, addetti ai lavori e pubblico, e dove esercitare un utile forma di fitness. Un allenamento per la vista, come facoltà che presiede ad ogni attività ed ambito. Potremo dire che l'arte presiede a tutto, ma spesso le persone non se ne accorgono e subiscono questa evidenza.






...plays...(place+rays)
monaco/varsavia

luca rossi 2011/2015.





Lo scoppio della bolla speculativa nel mercato dell'arte, ci costringe finalmente a guardare le opere, forse a vederle per la prima volta, e tentare di capire perchè ci interessano.

Dove sta il valore dell'arte? Delle opere d'arte? Diversamente a cosa serve l'arte? Una riflessione sul valore dell'arte non può essere oggi scollegata da una lettura semplice (non semplicistica) che si ponga in relazione alla nostra vita quotidiana. Alla nostra dimensione micro e locale. Il fitness che facciamo nella palestra dell'arte ci aiuterà poi, spesso in modo non del tutto consapevole e conscio, nella nostra vita quotidiana. L'arte diventa necessariamente una forma di religione pagana.

Con la crisi delle democrazie ci accorgiamo che l'unico "spazio politico" praticabile con efficacia sia proprio la nostra dimensione micro e quotidiana. La scelta e la decisione che ognuno di noi può prendere nella sua vita vale 10-20 volte le ricadute che una scelta di un Capo di Stato può avere su ognuno di noi. Semplicemente ci rassicura e ci fa comodo (perchè de-responsabilizza) pensare che non sia così. Concetti che non sono nuovi ma che con la crisi economica che preme e milioni di persone che aspettano interventi risolutivi dall'alto (interventi macro), diventano di stretta attualità.


Luca Rossi non solo rende l'oggetto e la materia dell'opera marginali (recentemente ha presentato una serie di opere che giocano con l'arte moderna, usando unicamente le cose del "fai da te"), ma agisce, ed invita ad agire lo spettatore, solo ed esclusivamente in questa dimensione micro e locale. Nei progetti presentati a partire dal 2009 lo spettatore si trova sempre dove si trova l'opera. Un nomadismo velocissimo e una coincidenza immobile tra autore, contenuto e spettatore. 



In particolare tutti i progetti di Luca Rossi iniziano e finiscono "dove ci si trova in questo momento". Se la flessibilità nel movimento di cose e persone ha contribuito allo stato di cirsi, il Sig. Rossi diventa ancora più fluido e flessibile, l'opera si trova sempre dove si trova lo spettatore. Si tratta di un nomadismo velocissimo ed immobile, in quanto opera e spettatore si trovano immediatamente nello stesso luogo, pur rimanendo immobili. E' il caso di uno degli ultimi interventi di Luca Rossi, siamo alla GAMeC di Bergamo: nella scena percepiamo elementi reali ed elementi che reali non sembrano, come un grande ammasso di materia al centro della stanza. Non sappiamo se questa "materia", ottenuta banalmente con un qualsiasi programma simile a photoshop, nasconda qualcosa o se non sia forse un sovraccarico formale, come se portassimo nella stanza del museo, contemporaneamente, tutte le opere passate da quel punto nella storia del museo stesso. E questo sovraccarico formale, questa abbondanza di oggetti di cui possiamo godere, corrisponde impietosamente ad un vuoto di contenuti. Cosa rimane delle centinaia di opere che troviamo per le Biennali d'arte di tutto il mondo? E delle migliaia di post su Facebook o contenuti sul web? Contenuti e opere a cui noi tutti possiamo partecipare facilmente armati di iPhone, e che possiamo replicare e condividere ulteriormente e in modo esponenziale con i nostri amici e conoscenti.






all around you
Gamec/Bergamo,2014.


Il progetto MyDuchamp, ideato da Luca Rossi ed Enrico Morsiani nel 2014, rappresenta il terzo step rispetto un percorso finalizzato alla divulgazione dell'arte contemporanea. Dopo il "Corso Pratico di Arte Contemporanea" (2010) e "Duchamp Chef" (2013), in MyDuchamp convergono le esperienze pratiche e teoriche di queste precedenti esperienze. Per usare un termine critico caro a Luca Rossi, MyDuchamp propone "ikea evoluta" consapevole. Ogni opera di questa serie "pret a porter" sembra il risultato di un bambino lasciato solo a giocare con l'arte moderna. Ogni opera contiene più riferimenti diretti alle avanguardie moderniste, in inaspettati crash di citazioni. Ogni opera viene finalizzata solo da un dialogo davanti ad essa, da intrattenere tra il pubblico e un performer. Il tema di questo dialogo sarà il valore dell'opera e dell'arte in generale, rispetto la nostra vita. Anche in questo modo Luca Rossi propone delle opere che sono come dei "cavalli di Troia" per poter agire essere stimolo ed innesco nella nostra dimensione privata e quotidiana. 



Progetto MyDuchamp (www.myduchamp.com)
luca rossi-enrico morsiani/2014. 




Quello strano caso dei monaci che non potevano esporre una teca vuota
di luca rossi








Non ho mai detto che il mio lavoro fa la differenza. Ho detto che bisogna stimolare uno spirito critico per fare le differenze tra le cose. Questo progetto in Francia vive su tre livelli:


-l'azione nell'Abbazia di Senanque (uno dei siti turistici più frequentati della Francia)


-l'opera fruibile nell'Abbazia


-la documentazione dell'azione e dell'opera.

L'azione è una sorta di candid camera, dove io stesso ho iniziato a fotografare ossessivamente una teca (apparentemente) vuota. I turisti, che venivano da un bagno di fotografie al sito turistico (l'Abbazia Cistercense di Sénanque in Francia), rimanevano interdetti; alcuni si stropicciavano gli occhi, alcuni rallentavano, alcuni hanno iniziato a fotografare anche loro. Forse pensavano ci fosse qualche reliquia. Anche il vuoto è interessante se qualcuno te lo indica. Ma in realtà dalla teca è emerso un piccolo paesaggio, che a me ricorda i giardini Zen. Ci sono tanti piccoli elementi che puoi notare solo nella terza dimensione del lavoro, e quindi nella documentazione. E quindi nella dimensione privata di ognuno di noi, da dove guardiamo il blog e le immagini. La dimensione politica dove possiamo veramente fare una rivoluzione.
Mi chiedi come può fare la differenza tra le cose questo lavoro. L'opera cerca di recuperare il senso dell'Abbazia, e quindi si contrappone al caos del turismo di massa, che stravolge totalmente il senso profondo di quel luogo. Si tratta di un "attentato positivo", che ricostruisce il senso invece di distruggere il sito turistico. I turisti sono effettivamente "attentati"...rallentano il passo, cercano di capire cosa ci sia nella teca. Questo accende in loro senso critico, che invece permane sopito nel resto della visita.
Il progetto mette in profonda discussione i rituali convenzionali del sistema dell'arte e appare improvvisamente al fianco dello spettatore.











Ho chiesto ai monaci dell'Abbazia di tenere la teca esposta in questo modo, e aggiungere una piccola didascalia che descrivesse l'opera:

Tao (la Via o il Sentiero)
teca, azione, documentazione, materiali vari.
luca rossi, 2013.

I monaci hanno risposto che non è possibile esporre nell'abbazia simboli non cristiani. In realtà la teca è vuota. Inoltre nelle foto di documentazione si può vedere la formazione spontanea, probabilmente di polvere, di un piccolo Tao. Fotografare la teca ossessivamente significa indurre a "credere" ad un vuoto, ad un'assenza. Ma non è forse la stessa religione che chiede di credere ad un vuoto e a qualcosa di invisibile? Ma il vuoto è veramente vuoto? E queste stesse domande e tutto quello che ne segue, non è forse un "pieno", un contenuto, che giustifica e dimostra che il vuoto non è mai vuoto, se siamo pronti ad una lettura analitica e al contempo immaginifica della realtà?
Questo stesso progetto francese è nato dalle possibilità di uno smartphone e dalla possibilità di comunicare tutto tramite internet. Non è servito altro. Non serve nemmeno che gli spettatori si rechino in Francia, l'opera si trova soprattutto dove ci troviamo a vedere la documentazione del progetto. La teca probabilmente c'è ancora ma nell'economia del progetto diventa come un'oggetto marginale e secondario. Il centro dell'opera d'arte è altrove.












Non ci vogliono far ragionare, non ci vogliono far sognare







L'arte a casa tua (www.myduchamp.com)




Ho seguito in questi giorni il confronto intorno all'arte, al padiglione italia e al sistema dell'arte in italia. Ho letto alcuni contributi di Michele Dantini e poi alcune risposte, tra cui Luca Bertolo. Articoli lunghi e sotto decine e decine di commenti che si accavallano senza arrivare da nessuna parte. A Dantini piace pensare all'arte del futuro, a cosa sarà considerato arte fra 30 anni. Dantini evita abilmente di sporcarsi le mani e affrontare gli artisti italiani under 50. Luca Bertolo gli chiede perché non affronta criticamente artisti under 50. Lui risponde che lo fa (anche se lo fa focalizzandosi su un particolare che lo interessa e non tentando di fare le differenze tra le cose e i particolari stessi, esercizio poco politicamente corretto, perché significa anche criticare gli artisti). Io dico che Michele Dantini ha fatto e fa ancora l'artista, e quindi quando parla, parla prima di tutto di se stesso, perché parlare di altri? Cosa che gli attirerebbe inimicizie e che lo metterebbe in secondo piano? Ma la cosa più interessante è come questo dibattito rimanga solo fra pochi addetti ai lavori, neanche troppo interessati; tutti con il paraocchi nel guardare il proprio orticello e nel tirare a campare. L'arte contemporanea in Italia negli ultimi 15 anni è semplicemente un modo raffinato per fare pubblicità all'istituzione pubblica o privata di turno. Non esiste una critica d'arte capace, e che abbia lo stimolo, di argomentare luci e ombre delle opere; e quindi andando ad esaltare quello che dovrebbe essere il valore dell'arte, in ultima analisi le ragioni e le motivazioni dell'arte (anche se io nel 2014 c'ho provato con una ricognizione sull'arte italiana degli ultimi 25 anni attraverso alcuni articoli su Artribune). Dal momento che le ragioni e le urgenze dell'opera non sono chiare il pubblico permane distante e spesso abbandonato; solo da pochi anni (dal 2012 circa) alcune istituzioni hanno pensato di coinvolgere nella didattica anche gli adulti, oltre che organizzare workshop pomeridiani dove gli adulti potessero parcheggiare i bambini per fare aperitivo. Cosa legittima certo, l'aperitivo. Anche per questo dal 2010 questo blog organizza corsi di arte non convenzionali proprio nei pub, ossia nei posti dove possiamo trovare un po' tutti o chi semplicemente lo desidera. Musei e fondazioni, infatti, sono luoghi che mettono in soggezione e non possono servire a molto per la didattica. Si pensa che l'arte debba essere diretta e democratica, ed invece non è così, perché non è così per niente nella vita. Godere del valore dell'arte necessità di uno sforzo e di una volontà. Ma servono persone capaci di motivare nel pubblico tale sforzo e volontà. Queste persone oggi in Italia non ci sono, come non ci sono critici, e di conseguenza non c'è pubblico. Per tanto senza "controllori" gli addetti ai lavori fanno quello che vogliono e usano il sistema italiano per ritagliarsi un posticino al sole, semmai sperando nella chiamata internazionale. Spesso gli stessi curatori italiani entrano in competizione con gli artisti, dovendo diventare sempre di più registi, autori e manager di se stessi. Gli artisti come operai in file chilometriche fuori dalla fabbrica, diventano ovviamente debolissimi; anche perché le loro stesse opere hanno assimilato questa debolezza, e non hanno alcuna speranza rispetto artisti stranieri, similmente mediocri, ma che hanno alle spalle istituzioni e paesi danarosi.






Le macchie sul tuo schermo dicono molto di te




Quindi che fare? Dal 2009, cercando di pormi queste domande, mi sono ritrovato in un ruolo particolare. Il Sig. Rossi vive una naturale fusione e confusione di ruolo, dove lo spettatore coincide con l'artista, e costui con il curatore e ancora con il blogger, il critico e il gallerista. Ossia un ruolo che potesse essere indipendente dal sistema e bypassare un sistema paludoso e stanco. Alzando poi lo sguardo verso la platea mi sono accorto che in platea c'erano, e ci sono (ahimè), solo addetti ai lavori. Come se Grillo cercasse di arrivare a delle soluzioni davanti ad una platea di Forza Italia. Per questo, insieme ad alcuni preziosi collaboratori, ho cercato di organizzare dei progetti concreti per aprire le porte del nostro "teatro" e far sedere in plaeta anche persone normali, pubblico vero davanti all'opera d'arte. Dal 2010 al 2015 sono nati tre progetti l'uno conseguente all'altro: "Corso Pratico di Arte Contemporanea" 2011 per riportare l'arte nel nostro quotidiano, "Duchamp Chef" 2013 per conoscere l'arte mangiando, MyDuchamp 2014 per portare direttamente nelle case delle persone il museo. Naturalmente siamo una goccia nel mare, ed inutile dire che la platea di Forza italia non voglia far entrare nuovo pubblico per sentire le soluzioni di Grillo (ho usato questa metafora per far capire il concetto, non per simpatia verso Grillo).



...plays... (place+rays)



Ma perché il sistema dell'arte dovrebbe osteggiare il nostro lavoro? E perché l'arte è un rimosso dal dibattito pubblico?

Prima domanda: ogni addetto ai lavori preferisce coltivare il suo orticello evitando di crearsi inimicizie semmai appoggiando "Luca Rossi". Inoltre nemmeno l'addetto ai lavori crede fino in fondo al valore dell'arte, tanto vale mantenere le cose come sono. Tanto più che i curatori italiani giovani, piano piano, fanno carriera mentre sono gli artisti italiani ad essere sempre più precari e omologati ad uno standard qualitativo mediocre. Basta guardare gli ultimi padiglioni italiani, ma anche semplicemente le opere proposte dagli artisti italiani. Seppur in un quadro internazionale in cui lo stesso linguaggio dell'arte contemporanea risulta deficitario e omologato verso il basso.

Seconda domanda: all'inaugurazione dell'Expo il primo Ministro Renzi tra gli eventi degni di nota in Italia durante l'Expo ha omesso la Biennale di Venezia. Premesso che quest'anno non ha molto senso andare a vedere la Biennale di Venezia (mio opinione personale), questa notizia fa capire come l'arte sia un vero e proprio rimosso dal dibattito pubblico. Sicuramente perché oggi in italia l'arte contemporanea non ha pubblico (quindi perché occuaparsene pensa il politico) ma anche perché l'arte, quella vera, pone troppe domande e troppi interrogativi scomodi. L'arte fa ragionare e sognare le persone. E oggi i poteri forti italiani non vogliono assolutamente un italiano che ragioni e allo stesso tempo inizi a sognare. Sarebbe per loro un disastro.






















Opera aperta Mare aperto 
Un progetto di Luca Rossi
Con la collaborazione di Enrico Morsiani
20-25 luglio 2015
Internet + Fortezza Vecchia (Livorno)

Un'idea di installazione e di scultura che travalichi lo spazio del museo e che sia un confronto e un dialogo sul valore dell'arte nel mondo contemporaneo. Un'opera che possa quindi travalicare l'opera stessa e arrivare ad un confronto davanti all'opera ma anche nei commenti sul maggior numero di recensioni su progetti artistici in corso. Nella settimana precedente la presentazione dell'opera finalista del Premio Combat, cercheremo di innescare un confronto riguardo il maggior numero di progetti recensiti dalle riviste specializzate Exibart e Artribune. Dove sta oggi il valore dell'opera? Questa domanda è legittima o anacronistica? Se l'arte non ha valore per l'uomo che senso ha l'arte? Quello del commento sarà un modo per anticipare e allargare il confronto che avverrà come azione e performance davanti l'opera "mare aperto" che sara esposta dal 27 giugno a Livorno in occasione della fase finale del Premio Combat.


Scroll Down (la via o il sentiero)

una teca, un'azione, documentazione fotografica, materiali vari.
2013///Senanque Abbey, Gordes (FR).

PRE-FORUM








PARTE I / Forum per l’Arte Contemporanea di Prato. Le riflessioni di Luca Rossi.

Premessa:
Come conseguenza delle riflessioni che leggerete ho pensato ad un programma concreto e fattivo per contribuire a risollevare il sistema dell'arte italiano. Presenterò questo programma durante il Forum per l'Arte Contemporanea organizzato dal Museo Luigi Pecci di Prato per fine settembre. Questa riflessione a tutto campo non vuole imporre un punto di vista ma stimolare un confronto. Ma soprattutto dare conto di come queste stesse riflessioni mi portarono ad aprire nell’aprile 2009 il Blog Whitehouse.

Riflessione tema per tema relativo al Forum:

Ripensare il senso delle residenze

Tema della prima ora del Blog Whitehouse. Le residenze sono spesso una sorta di grande fratello fine a se stesso. Ragazze e ragazzi giovani e con le stesse passioni messi a fare arte nel medesimo luogo per per 15 giorni e più. Ho detto tutto. Difficilmente si creano opportunità continuative e robuste per il periodo dopo residenza. Ripensare alle residenze rientra nelle necessità di ripensare l'approccio formativo.



Formazione di critici e curatori

Difficile formare critici per una platea assente. I potenziali critici e spesso gli artisti tendono a diventare curatori con uno strano strabismo: con un occhio guardano la scena internazionale e con l'altro gli artisti, ma in senso strumentale o competitivo. "Strumentale" perché gli artisti sono spesso la sfumature sulla tavolozza del curatore-autore, e "competitivo" perché sono i curatori ad intercettare la committenza mentre le file di artisti in cerca di lavoro sono gonfie e con artisti del tutto similari e intercambiabili. Possiamo immaginare la debolezza del "ruolo di artista", come un “operaio non specializzato”. Gli artisti vengono selezionati passivamente con un confronto critico minimo e mai manifesto. Si sceglie quello che “ci piace” mentre bisognerebbe argomentare quello che ci piace e quello che non ci piace. Vorrei chiedere a Massimiliano Gioni di fare una mostra con gli artisti che gli piacciono e una mostra con quelli che non gli piacciono. Dovrebbe finalmente invitare Pino Boresta.


Dopo l'accademia: uno spazio da costruire

Altro problema della prima ora del Blog Whitehouse. Accademie e scuole d'arte in italia preparano eserciti di disoccupati, costretti a rivolgersi verso altri settori o rimanere mantenuti dalla "Nonni Genitori Foundation", vero ammortizzatore sociale della scena artistica italiana. La risposta non è chiudere le accademie e le scuole d'arte, ma riformare i programmi delle scuole (ponendoli in confronto con il presente, un artista potrebbe essere un ottimo imprenditore o una medico strabiliante) e parallelamente rivedere la formazione e la divulgazione per il pubblico. Un pubblico vero, interessato ed appassionato sarebbe anche lo stimolo per le scuole. Il problema è politico, ma senza un pubblico vero la politica è disinteressata al contemporaneo e fa scelte di convenienza in base agli interessi del momento.


Accademie straniere tra modello e integrazione

Esiste una crisi del linguaggio dell'arte che tende a diventare "ikea evoluta", dispositivo pretenzioso, gingillo per ricchi o piccolo baluardo per un impegno sociale e politico (che rende solo un po' più lunga la strada verso l'ikea evoluta). Ma chiaramente all'estero dando un ruolo più importante all'arte contemporanea (per diverse ragioni) esiste più denaro per sostenere le carriere artistiche e anche maggiori riconoscimenti politici. Ma questa non è certo una scusa buona per lo stato in cui verte il sistema dell'arte italiano. Paolo Zani dice che forse l'arte italiana non è così debole, e forse si tratta di un fatto "politico"...secondo me è debole, come sono deboli anche molti artisti stranieri. L'arte contemporanea vive una crisi che necessità una ridefinizione dei suoi ruoli e dei suoi format.

Troppi musei?

In italia il museo, quando non è fondazione, è usato come una sorta di insegna luminosa che deve dimostrare ostinatamente la modernità della città, provincia o regione che lo ospita. Poco importa se fa pochi ingressi, poi chi verifica veramente? Il direttore? Ma alla politica non serve far passare da 100 a 300 gli ingressi (cosa che non sposterebbe nulla), quanto avere questo baluardo, questa cattedrale nel deserto, questa mega insegna che dimostra che quel territorio è moderno e che avrà anche tanti problemi, ma è moderno e al passo con i tempi. Infatti c'è il Gnam, Tam, Mambo, Tango, Gango ecc. ecc., il museo di arte moderna e contemporanea. Il museo in Italia deve riscoprire un nuova consapevolezza verso il territorio e verso il pubblico. Diversamente rimarrà solo un'insegna o un cartellone pubblicitario volto a pubblicizzare la modernità dei suoi promotori.


Verso nuovi centri di produzione e sperimentazione

Dove? Forse in alcune città straniere. In Italia non riusciamo proprio ad uscire dai binari che ci fanno sentire di appartenere ad un rassicurante mainstream internazionale. Spesso le nostre giovani gallerie cool, sono piccoli rivenditori di artisti stranieri. Peccato perché senza istituzioni strutturate e forti si potrebbe giocare da "late comers" e sperimentare veramente rispetto realtà straniere che sono più forti ma anche più rigide e strutturate.


Centralità della didattica

Sicuramente, didattica e formazione per gli artisti, per il pubblico e per i curatori. Ma quali maestri? Prima di parlare di didattica bisognerebbe parlare di didattica per chi dovrà fare didattica. Quando penso alla didattica non penso a percorsi educativi, semmai dentro a musei che così diventano veramente simili a certe scuole serali. Penso alla capacità di creare uno spazio di opportunità, dove certo mettere anche nozioni, ma dove interessare e appassionare. Il Blog Whitehouse dal 2010 propone un "corso pratico di arte contemporanea" che si tiene nei pub. Ma questa è solo una gocciolina nel mare. In Italia fino ad oggi la didattica ha interessato bambini e adolescenti, con percorsi che andavano dall'action painting in libertà ad un nozionismo didattico molto noioso e fine a se stesso. Spesso la didattica diventa il luogo dove portare i bambini quando i genitori vogliono tornare a fare aperitivo con gli amici dell'università. Ed ecco che il museo viene apprezzato ancora di più da un pubblico che lo accetta passivamente. Poi mi chiedo: il museo di arte contemporanea oggi in italia vuol un pubblico numeroso ed attivo o preferisce un pubblico medio-basso e passivo? Bisogna pensare che un pubblico attivo può anche criticare e creare problemi alla gestione di un museo. I direttori devono avere il coraggio di ricercare ed evidenziari i valori del contemporaneo.

Istituzioni coraggiose

Cosa serve all’istituzione pubblica per essere effettivamente coraggiosa, non conformista o omologante? Parte della questione sembra provenire dallo stesso ruolo che alle istituzioni è richiesto, quello cioè di “raccoglitore” del più vasto pubblico, che rischia di sacrificarne l’anima più avanguardista in favore di una banalizzazione dei contenuti. È possibile slegarsi da rapporti di potere e dipendenza che spesso si creano sia con le amministrazioni pubbliche che con il mercato, per favorire lo sviluppo di luoghi di conoscenza autonomi e radicali?

Effettivamente il museo di arte contemporanea italiano pur sapendo di non dover portare chissà quale pubblico al museo, tende a proporre progetti annacquati e poco coraggiosi. Si guarda al grande pubblico, e quindi all'intrattenimento ma senza proposte che possano realmente competere con le proposte di intrattenimento più coinvolgenti e forti. Esempio: il Mambo di Bologna, qualche tempo fà, propose una lunghissima e prevedibile mostra fotografica su Federico Fellini. Molto più efficace vedere il film Amarcord in Piazza Maggiore a Bologna. Quindi per andare incontro al pubblico si propongo progetti appetibili per il grande pubblico, ma che rimangono fortemente inferiori ad altre manifestazioni culturali di intrattenimento. Per tanto bisogna ripensare i format. Quando invece il museo vuole sintonizzarsi sulle migliori proposte internazionali, rischia di proporre “mostre nel deserto”, contribuendo a non essere capito dal pubblico e ad allontanare il pubblico stesso. Quindi torna fondamentale ripensare alla didattica, non in senso educativo, ma come una mediazione culturale che possa far apprezzare la novità.


Percorsi e modelli formativi per gli artisti

Già detto, riformare le accademie e porle in relazione al dopo-accademia, alla realtà. Cercando semmai di capire quali siano oggi le urgenze, le motivazioni e le ragioni dell'arte. Dopo questa riflessione, sarà naturale pensare a percorsi e modelli formativi per gli artisti. Non prima di aver creato un pubblico (e quindi un seguito politico). La polita dovrebbe giocare un ruolo importante ma deve vedere e riconoscere la migliore arte contemporanea, cosa che adesso non sta facendo. L'arte contemporanea non può diventare il calcio, ma deve essere capace di interessare una minima fetta di pubblico. E non essere semplicemente, come avviene oggi, lo strumento per fare pubblicità commerciale o politica all'istituzione pubblica o privata di turno. In italia oggi l'arte contemporanea ha un pubblico formato solo da addetti ai lavori e pochi curiosi, spesso tenuti volutamente in uno stato di soggezione. Negli ultimi mesi qualcosa si sta muovendo, ed ecco emergere i cosiddetti "mediatori culturali", che io chiamo divulgatori. Ma anche qui si pone il problema di "come" e di "chi" deve formare questi mediatori.


Storia dell'arte nelle scuole: la grande assente

Anche a questo proposito il problema è fortemente politico, serve la volontà politica che, senza un pubblico interessato al contemporaneo, non ci potrà mai essere.  C'è poco da aggiungere. Ed invece l'arte può veramente diventare una palestra e un laboratorio per imparare a “vedere” la realtà che ci circonda e quindi vivere meglio.Ma anche per queste ragioni forse, l'arte contemporanea viene tenuta fuori dal dibattito pubblico italiano. Renzi che all'Expo non fa riferimento alla Biennale di Venezia tra le manifestazioni più importanti in italia durante l'Expo, la dice lunga.


Quantità di pubblico vs Qualità della proposta

Non è vero che un grande pubblico coincide solo con bassa qualità. In questo caso diventa fondamentale la formazione e la divulgazione, come abbiamo detto prima la mediazione tra progetto e pubblico. In due fasi: prima dell'evento e come capacità di presentare l'evento. E' chiaro che se ci poniamo in un contesto in cui il pubblico non ha gli strumenti per leggere l'arte contemporanea, siamo costretti a coinvolgere e intrattenere con format di intrattenimento o contenuti prelevati da altri ambiti. Se per subire un certo intervento da un dottore dovessimo sempre capirlo, saremo sicuri di ricevere il migliore intervento possibile? Risulta ancora fondamentale la formazione del pubblico.


L'arte deve essere provocazione?

La provocazione è un ingrediente molto appetibile e facile per interessare velocemente un pubblico distratto o assente. Il dito medio di Cattelan a Milano ha sicuramente avvicinato un centimetro di più tante persone all'arte contemporanea. Ma poi?
Forse un valore del museo dovrebbe essere quello di regalare allo spettatore momenti di decompressione dove valorizzare il proprio tempo (vera risorsa scarsa di cui disponiamo). La provocazione ottimizza i tempi, ma spesso rimane fine a se stessa.


Censura e autocensura

In Italia c’è una questione di censura e autocensura? Può succedere che gli artisti e gli operatori non affrontino temi scomodi (religiosi, etici, politici...) per paura di essere bloccati, praticando così essi stessi una forma di censura, spesso inconscia, sul proprio lavoro? Il risultato rischia di essere un appiattimento dei contenuti.

Non essendoci un pubblico dell'arte contemporanea, l'unica strada per toccare certi temi è la provocazione che immancabilmente non viene capita. E anche la politica non la accetta sapendo che NON esiste un pubblico che la capisce e che quindi la può accettare. In realtà siamo bombardati di contenuti e il museo rischia di diventare l'ennesimo strumento per questo bombardamento (basti pensare alla continua produzione di contenuti su internet). A mio parere invece di pensare ai contenuti bisognerebbe pensare alla capacità di fare le differenze tra i contenuti. Questo è il problema della contemporaneità, del postmoderno e della postproduzione. Ormai non solo siamo consumatori di contenuti ma anche produttori, quindi diventa fondamentale fare le differenze per salvarci dalla "sindrome del selfie" e difendere l'arte, nel caso ci sia qualcosa da difendere.


Un nuovo ruolo sociale per l'arte?

Ha senso, nella società contemporanea, pensare a un ruolo sociale attivo e riconoscibile per l’arte? Esiste ancora una possibilità di incidere nella società, raggiungere un vasto pubblico e divenire fattore attivo di cambiamento e innovazione?

Bellissimo tema. Io dico sì. Ne sono sicuro. Ma non penso ad un ruolo del tutto visibile. Penso ad una capacità dell'arte di sviluppare sensibilità e spirito critico per affrontare -soprattutto- qualsiasi altro settore extra-arte. Ma prima di questo sì, serve un riconoscimento istituzionale e sociale dell'arte e del ruolo di artista. E in italia siamo lontani, ma si può fare molto.



PARTE II / / Forum per l’Arte Contemporanea di Prato. Le riflessioni di Luca Rossi.

Premessa:
Come conseguenza delle riflessioni che leggerete ho pensato ad un programma concreto e fattivo per contribuire a risollevare il sistema dell'arte italiano. Presenterò questo programma durante il Forum per l'Arte Contemporanea organizzato dal Museo Luigi Pecci di Prato per fine settembre. Questa riflessione a tutto campo non vuole imporre un punto di vista ma stimolare un confronto. Ma soprattutto dare conto di come queste stesse riflessioni mi portarono ad aprire nell’aprile 2009 il Blog Whitehouse.

Riflessione tema per tema relativo al Forum:

Riconoscere il valore del lavoro culturale

Attenzione. Codice rosso. Non tutto quello che si fregia della parola “cultura” o “culturale” ha un valore alto e importante. Prima di porre questo tema bisogna imparare a fare le differenze e quindi serve una critica militante e una mediazione che possa coinvolgere il pubblico attivamente in questo confronto critico. Quando un lavoro culturale è di qualità? Gli addetti ai lavori devono abbandonare la presunzione che tutti vedano chiaramente quello che vedono loro.


Quale senso per l'arte pubblica?

Molto se “arte pubblica” di qualità. Anche qui bisogna andare a fondo, e capire quale valore e quale senso per quel dato progetto. Io vedo in Italia molti progetti difesi dagli addetti ai lavori ma che non sono di qualità e che se approfondiamo minimamente vanno subito in crisi. La prima nemica dell'arte contemporanea è l'arte contemporanea mediocre e che contribuisce allo stereotipo dell'arte contemporanea come qualcosa di distante e fumoso. Anche qui torna la necessità critica di saper fare le differenze tra le cose, uno dei nodi della contemporaneità.


Cervelli, corpi e progetti in fuga

Capisco la fuga, ma così facendo non cambierà mai nulla. In Italia abbiamo l'opportunità di verificare realmente il possibile ruolo e valore dell'arte contemporanea. All'estero viaggiamo con la rete di sicurezza. Capisco che per uno che vuole fare il professionista l'Italia dell'arte contemporanea non vada bene. Ma io penso che il professionismo non vada bene per l'arte contemporanee in generale. Questo non vuol dire non essere professionali. Dico solo che in questa fase di crisi profonda del sistema italiano sia meglio fare il medico, l'architetto, l'imbianchino o il pubblicitario, per poi occuparsi con successo di arte contemporanea in Italia. Il professionismo in Italia ti costringe subito a compiacere tutti, a diventare debole e a cercare subito lavoro all'estero. Quindi questo all'Italia non serve a nulla.


Le istituzioni saranno spazi di discussione e di pensiero

L’istituzione pubblica può e deve ritrovare la propria centralità come piazza aperta, luogo di aggregazione e confronto, reale soggetto produttore di cultura. Solo così le istituzioni potranno essere spazi di discussione e di pensiero. È possibile alimentare la permeabilità di queste realtà con il tessuto sociale a cui si rivolgono puntando allo stesso tempo allo sviluppo di contenuti che garantiscano una riconoscibilità a livello internazionale?

Sì, ok, ma quale pensiero? Quale discussione? Il confronto pubblico, politico e culturale per esempio, è fatto solo di titoli ad effetto e ricostruzioni parziali e superficiali. Le persone sanno veramente cosa significa “stare in Europa”? Sanno cosa significa “cultura”? L'informazione sulla rete vive di titoli ad effetto. A mio parere il museo può diventare luogo di aggregazione e di confronto, ma servono persone capaci e motivate nel fare questo e nella gestione del museo. E il primo passo sarebbe allargare l'idea di museo, evitando che diventi una sorta di luna park intellettuale e fine a se stesso. In questi anni di lavoro sono emersi molti spunti sull'idea di museo. Ma quando cerchi un confronto o proponi progetti concreti in Italia, tutti pensano che tu sia un vanitoso e che tu abbia “manie di protagonismo”. Come se un medico che cerca lavoro fosse vanitoso (questa cosa è emersa dal confronto con Massimiliano Gioni). Questa cosa accade perché nell'arte contemporanea italiana non conta tanto il progetto ma le pubbliche relazioni che lo sostengono e non esiste la voglia e la capacità di fare le differenze. Questo forum per l'arte contemporanea mi sembra la prima occasione reale di confronto in sei anni di attività. In fondo il sistema dell'arte contemporanea italiano è giovane e solo adesso, dopo lo scoppio della bolla speculativa, sembra indotto ad una riflessione. Ma ho scritto di queste problematiche nel 2009 su Flash Art, Exibart, Whitehouse e Artribune; per non parlare di centinaia e centinaia di commenti su Exibart e Artribune. Ma sono serviti sei anni per una presa di coscienza fattiva. Speriamo.


Gli archivi come strumenti di ricerca e formazione

Su questo tema non saprei cosa dire. Forse solo che siamo in una fase pre-archivio.


Pubblico e privato: una questione di fiducia

Rendere il pubblico più affidabile agli occhi del privato è ancora una questione politica, che può essere favorita se nella società sono sentiti ed evidenti alcuni valori che oggi non sono per niente chiari. Quale ruolo e quale valore per l'arte contemporanea nella società italiana? Tutto da definire.



Nuovi mecenati

Anche qui per favorire il mecenatismo bisogna appassionare, interessare e rendere evidenti le urgenze, le ragioni, le motivazioni e i valori dell'arte. Oltre la necessità di fare pubblicità ad un brand (Pirelli, Prada, Trussardi, Enel, ecc. ecc.). E anche in questo caso la politica si muove se sente un vantaggio in termini di consenso elettorale. Questa cosa può sembrare cinica, ma se ci pensate è anche una cosa buona e giusta: per quanto di nicchia l'arte contemporanea deve trovare un minimo di pubblico, diversamente è come il circolo degli scacchi. Perché il governo lo dovrebbe aiutare?



Per una cultura del fundraising

Ripeto ancora il problema di rendere evidenti le motivazioni. Oggi in Italia non lo sono. Bisogna sporcarsi le mani, nel nostro piccolo con il Blog Whitehouse, abbiamo da poco presentato il progetto MyDuchamp. Che oltre a “sporcarsi le mani” con le ragioni dell'arte, dimostra che si può fare tanto anche con poco, senza aspettare chissà quale finanziamento dall'alto. La nostra idea sarebbe portare il Museo direttamente nelle case delle persone.


Contemporaneo su i media: un'assenza ingiustificata

Altra questione della prima ora del Blog Whitehouse. L'assenza del contemporaneo su i media nazionali ha due ragioni:
-la prima: tale assenza riflette un'assenza e una diseducazione del pubblico. Non solo l'arte moderna e contemporanea è assente dai percorsi di studio, ma gode in italia anche di un status sociale basso. Per direttiva ministeriale la scuola d'arte - almeno fino a qualche tempo fà- veniva consigliata agli studenti meno brillanti.
- la seconda: il contemporaneo trova anche la diseducazione dei giornalisti e una sua rimozione come disciplina scivolosa e che può portare a riflessioni pubbliche scomode. "Meglio non parlarne troppo e poi non sappiamo neanche parlarne".
E' assurdo come spesso ci sia la pretesa che l'arte contemporanea debba essere immediata e democratica, cosa che non avviene per nessuna disciplina al mondo. E dire che l'arte contemporanea, prendendo in esame la vista e il sentire, è una disciplina che presiede potenzialmente a tutto. Per me di questo non ne sono convinti nemmeno i professori dell'accademia e molti addetti ai lavori, figuriamoci un pubblico spesso abbandonato e privo di strumenti e opportunità per costruirsi questi strumenti.


Rivitalizzare il dibattito critico

Cavallo di battaglia del Blog Whitehosue fin dalla prima ora. Il problema non è mai stato una critica alle raccomandazioni e al compiacimento acritico generale, di un sistema italiano precario e dove quindi tutti devono rimanere in buoni rapporti con tutti (come se la critica sia un'offesa e non un atto d'amore per crescere insieme). Il problema è stato che questa raccomandazioni e questo sistema acritico non servono e non sono serviti a niente. Non stanno aiutando nessuno. Ma ancora oggi se provo ad argomentare criticamente vengo ostracizzato, fino anche ad essere censurato da riviste -apparentemente open mind. Spesso sono proprio i più giovani nell’ostracizzare, con la preoccupazione di dover mantenere buoni rapporti con tutti. Costoro precari, iperscolarizzati e cresciuti tra Berlusconi e Porta a Porta, sono i più attenti nel difendere i propri interessi. Naturalmente non è chiaro per loro quali siano i loro “reali interessi”, in quanto un sistema aperto e inclusivo farebbe il bene di tutti.


Esterofilia: un problema italiano

Altro cavallo di battaglia del Blog Whitehouse dal 2009. Vista la debolezza degli artisti italiani e la predominanza del curatore, la tendenza -spesso anche inconscia- è per l'artista quella di proporre “quello che bisogna proporre” e “quello che il sistema richiede” per essere selezionati in un certo ambito del gusto. E solitamente questa proposta risulta essere una copia sbiadita del mainstream internazionale. Possiamo immaginare come questo questo meccanismo possa disincentivare la ricerca e abbassare la qualità proposta. Chi esce da un certo “standard esterofilo” viene emarginato. Col tempo, non solo abbiamo una fuga di cervelli verso l'estero ma anche verso discipline più stimolanti e meritocratiche rispetto l'arte contemporanea in italia. Con questa esterofilia provinciale, anche le nostre gallerie, come anche i nostri musei, si trovano sempre ad inseguire la scena internazionale. Questo rende davvero poco interessanti gli artisti italiani. L'arte è anche coraggio. Non è possibile che gallerie cool e blasonate prendano un artista solo se sanno, per esempio, che ha ricevuto il battesimo di Gioni o Cattelan. Questa tendenza crea un circolo vizioso al ribasso, in cui la cosa migliore che possa succedere è diventare compie sbiadite degli originali. A questo si aggiunge una crisi del “ruolo di artista”.




La lingua italiana

Tema ottimo. Per paura ed esterofilia non riusciamo a difendere la nostra lingua. La lingua italiana è una sorta di tabù, perché siamo schiacciati da complessi di inferiorità verso l'inglese. Ossia un lingua banalissima che praticamente chiunque può imparare con un po' di impegno. Su questo tema si può lavorare molto. Ma servono artisti e operatori coraggiosi. Non si tratta solo di rivendicare una lingua, ma soprattutto recuperare energie locali e lateriali che vengono schiacciate dal dictat esterofilo, che agisce nel linguaggio ma anche nei contenuti.


Gli indipendenti

Guardando le programmazioni degli indipendenti e il loro atteggiamento, non cambia una virgola rispetto alle programmazioni di quelli che sono i "dipendenti". Io credo che gli indipendenti e i no-profit italiani non aspettino altro -legittimamente- di diventare dipendenti e avere un futuro maggiormente sicuro. In Italia non esiste alcun cambiamento di approccio e di linguaggio tra coloro che sono istituzionalizzati nel sistema e coloro che si definiscono “indipendenti”.


Le fondazioni private sono le nuove istituzioni

Certamente. Le fondazioni hanno trovato le motivazioni che il pubblico e la politica non trovano nell'arte contemporanea, ossia motivazioni finanziarie e di immagine esterna/pubblicità. Anche per loro suggerisco però maggiore apertura e coraggio nel rivedere le solite impostazioni che copiano dalla scena internazionale.  


Grants: incentivare una buona pratica

È necessario rivedere i meccanismi di valutazione e incarico del curatore del Padiglione Italia in seno al Ministero e parificarli a ciò che accade in molti altri padiglioni nazionali nella Biennale di Venezia.

Anche su questo problema ho fortemente dibattuto dentro e fuori il Blog Whiehouse. Fino a quando non ci sarà un pubblico la politica italiana farà quello che vuole con il Padiglione Italia. A maggior ragione in un sistema dove non esiste un confronto critico continuativo e dove quindi il ministro di turno non sa per quale gruppo parteggiare. Che differenza c'è tra Sgarbi, Trione e Pietromarchi? Non c'è la capacità per fare le differenze critiche, quindi ogni scelta va bene. Quando i "migliori" operatori del sistema italiano si lamentano della nomina ministeriale, io dico che è responsabilità loro: ossia durante gli anni precedenti non sono riusciti a creare un pubblico e a rendere evidenti le differenze critiche. Scusate, gli addetti ai lavori cosa devono fare tutto l'anno se non questo? Porre al centro l'arte rispetto al pubblico e rispetto la capacità critica di fare le differenze tra le opere e i progetti? Questo in Italia non avviene, il Ministro sa di non dover rendere conta ad un “pubblico vero”, e quindi fa scete dettate dalle convenienze del momento.



I premi: un oblio da eccesso

Altro tema caldo di questo del Blog Whitehose e ribattezzati "armi di illusione di massa". Sono utili se siamo tutti d'accordo che sono motivi di minima visibilità e sono fini a se stessi. Ultimamente ti regalano residenze all'estero. Più che su i premi mi concentrerei sulla formazione degli artisti. Poi, solo dopo, penserei a come premiarli.


Arte italiana all'estero. Strategie di promozione

Come per i premi, prima di promuovere cercherei di “formare”. Promuovere cose deboli o omologate alla scena internazionale è controproducente. Sicuramente si potrebbe fare moltissimo su questo versante.


Padiglione italia: come salvarlo dal ridicolo

Tema forse ripetuto. Oltre l'opinione di pochi addetti ai lavori, prima di salvare qualcuno dal ridicolo bisogna avere chiaro in testa cosa sia il "ridicolo" e renderlo evidente a molte persone, così che il Ministro debba necessariamente decidere per il meglio. Diversamente tutto può andare, oltre l'opinione di pochi addetti ai lavori. Io credo che negli ultimi otto anni sarebbe stato necessario avere Padiglioni Italia con uno o, massimo, due artisti. Ma allo stesso tempo credo che sarebbe stato difficile scegliere artisti italiani interessanti rispetto la scena internazionale. E credo che questa crisi linguistica sia generalizzata anche in altri paesi.


Concorsi: chi li ha visti?

Questo compete ancora ad un'azione politica che ci potrà essere solo quando ci sarà un “pubblico vero” per il contemporaneo. Diversamente stiamo parlando del circolo degli scacchi. E fare i concorsi per il circolo degli scacchi non è il massimo.


Famigerata ed invisibile: la legge del 2%

Ancora un problema politico, scacchisti di tutto il mondo unitevi!


Programmare per tempo

Certo, creando un sistema che collabora e che sia aperto al confronto e alla valutazione di ogni proposta. Spero che da questo Forum possa nascere un progetto concreto per iniziare a risolvere tutte queste problematiche. Che queste non rimangino solo parole.

Ci vediamo a Prato! non scriverò lets see ;)