Another New Show





Another New Show (SPECIAL)

tessuto, metallo. 
Bologna
2014




















Another New Show

a cura di Luca Rossi  
Galleria Placentia  
Piacenza


potete dialogare in qualsiasi momento su
Skype: 
lucarossi22

MAGGIORI INFORMAZIONI : http://www.placentiaarte.it/eventi/232/



Luca Rossi è un'identità suggerita, un modo per recuperare una distanza dai luoghi e dai rituali del sistema dell'arte. Una reazione all'anonimato della critica d'arte, e alla sensazione che la differenza fra le cose dipenda unicamente dai luoghi e dalle pubbliche relazioni. Da tale azione critica è discesa spontaneamente una progettualità specifica, e non ultimo un progetto parallelo al fine di allargare e interessare il pubblico. Tale azione si è sviluppata attraverso il blog Whitehouse,  attraverso numerosi interventi con articoli su riviste specializzate (Flash Art Italia, Artribune Magazine, Artribune on line) e attraverso una continua attività di commento (in cinque anni si stimano circa 3000 commenti, e un'attività continua su social network come Facebook, Twitter e Skype).


Tra il 2009 e il 2014 anni sono state pubblicate numerose interviste ad alcuni protagonisti del sistema dell'arte: Angela Vettese, Francesco Bonami, Andrea Lissoni, Linda Randazzo, Massimiliano Gioni, Massimo Minimi, Jens Hoffmann, Giulia De Monte, Alfredo Cramerotti, Luca Beatrice, Maurizio Cattelan, Pier Luigi Sacco, Fabio Cavallucci, Michele Dantini, Roberto Ago, Stefano Mirti, Giacinto Di Pietrantonio, Giorgio Andreotta Calò, Valentina Vetturi, Danilo Correale, Cesare Pietroiusti, Micol Di Veroli. 



Sono stati organizzati progetti in numerosi contesti: New Museum (New York), Gagosian Gallery (New York), Galleria Zero (Milano), Uffici Imperatore (Milano), Whitney Museum (New York), Mart (Rovereto), Biennale di Carrara (2010), Galleria Civica (Trento), Palazzo Vecchio (Firenze), Ben Youssef Madrasa (Marrakech), Galleria Massimo De Carlo (Milano), Galleria T293 (Napoli, Roma), Tate Modern/Turbine hall (Londra), Komá Gallery (Molise), casa privata (Lubiana), Magazzino merci (New York), Castello Uzunosky (Varsavia), galleria privata (Varsavia), Punta della Dogana (Venezia), Biennale di Venezia (2013), Padiglione Paesi Nordici (Venezia, 2013), Fondazione Beyeler (Svizzera), Guggenheim Museum (New York), Sénanque Abbey (Francia), Reggia di Versailles (Francia), GAMeC (Bergamo), Piazza Duomo (Milano). 














MG: Il 29 marzo aprirà a Piacenza questo tuo nuovo progetto, ti avevamo lasciato qualche giorno fà alla GAMeC di Bergamo e questa estate in Francia, all'interno di un'Abbazia Cistercense. Che cosa hanno in comune questi tre progetti, fatti in luoghi così diversi? 


LR: Questi tre ultimi progetti, come quelli presentati in questi anni, discendono da una certa impostazione critica, prima che progettuale. Mi è sembrato logico partire prima dalle ragioni e dalle motivazioni, per poi non aver alcun limite spaziale (dove) e temporale (quando, per quanto). 


MG: Se dovessi scegliere una di queste ragioni-motivazioni, quale sceglieresti di segnalare?

LR: Sicuramente l'urgenza di far coincidere la dimensione macro e globale con la dimensione micro e locale. La consapevolezza di questo è risultata evidente nello sviluppo del mio lavoro in questi anni. In realtà non esiste una dimensione globale su cui incidere, ma tante dimensioni locali che si influenzano, arrivando a dinamiche "globali". Tali dinamiche sono sempre e comunque più deboli di quello che possiamo fare e scegliere nel nostro mirco/locale. 


MG: Il progetto che presenterai presso la Galleria Placentia parte da un'idea critica e provocatoria molto forte. Sarà evidente questa coincidenza di locale e globale?

LR: Questa coincidenza sarà evidente soprattutto in un'opera, ma tutta la mostra invita alle possibilità di uno sguardodiverso, che appunto può fare la differenza nel riflettere su questioni globali. E anche sul concetto di rivoluzione/cambiamento.


MG: Hai scritto che la mostra "Tutto intorno a te" alla GAMeC di Bergamo, è "come un buco nero che ha risucchiato tutto il rituale che va dall'accensione delle luci nello studio dell'artista fino all'ultimo spettatore che esce dal museo". Puoi spiegare meglio questa immagine?

LR: Il progetto alla GAMeC nasce proprio da una coincidenza rigorosa tra micro e macro, tra locale e globale. L'unico cambiamento che possiamo realmente fare, l'unica rivoluzione è locale. Come se l'unica realtà fosse quello che vediamo intorno a noi in questo momento. Per tanto la mostra parte dal mio micro e arriva al micro di ogni spettatore. La mostra è installata dove si trova lo spettatore a fruirla, che è anche il luogo in cui io ho agito. In questo senso c'è una reale coincidenza tra il "mio studio", il museo e il luogo in cui si trova lo spettatore. Per questo credo che quel progetto, come altri, sia una sorta di buco nero. Quell'immagine ti imprigiona istantaneamente in una coincidenza.

MG: Come puoi dire che il singolo individuo possa fare un rivoluzione e un cambiamento per se stesso e per gli altri? Viviamo in uno stato di crisi globale in cui l'individuo sembra avere le mani legate.

LR: Primo: il cambiamento e la rivoluzione non sono valori assoluti. Bisogna avere consapevolezza, il rischio è di passare dalla padella alla brace. Facile sbandierare la retorica della rivoluzione. 
Secondo: io ritengo che l'individuo possa fare di più per il suo "stato di crisi" rispetto a quello che può fare per lui Obama o Renzi. Solitamente è più facile scaricare responsabilità, dire "piove governo ladro" piuttosto che trovare il modo di aprire l'ombrello. 

MG: Come fare ad aprire l'ombrello?

LR: Una cosa importante è la capacità di cambiare il proprio sguardo sulle cose, mentre la tendenza è quella di ripetere sempre lo stesso errore (mi viene in mente l'ultimo film di Woody Allen, Blue Jasmine). La mostra di Piacenza rende evidente come un semplice cambiamento dello sguardo può farti avere il mondo in una stanza. Ma basta altrettanto poco per non vedere nulla.

MG: Quindi l'arte è il luogo per questo cambiamento dello sguardo?

LR: In realtà servirebbe una tensione dialogica, un dibattito tra artisti, esperti e pubblico. Cosa che in Italia non avviene perchè non esiste pubblico e non esiste una critica (tra gli esperti ci sono solo giornalisti che descrivono, collezionisti, curatori e tanti artisti, spesso gli stessi curatori vogliono fare gli artisti). Quindi il dialogo è zoppo, e si commette l'errore gravissimo di pretendere che la mostra sia un momento didattico. Come se gli avvocati o il chirurgo dovessero imparare il loro mestiere direttamente nei tribunali o nella sala operatoria. E quindi abbiamo mostre che cercano di andare incontro ad un pubblico analfabeta, perdendo ovviamente il confronto con un presente molto più forte e incidente. 

MG: Insieme all'artista Enrico Morsiani sei impegnato in un progetto di formazione e divulgazione. Come procede?

LR: Il progetto procede bene, ma siamo una goccia nel mare. A parte pochissimi interlocutori siamo ostracizzati e limitati. Ma non rimane che procedere serenamente. 

MG: Molti sostengono che tu stesso sia Morsiani. Penso che questa "caccia alle streghe" sia la prova di come il sistema italiano sia piccolo e immaturo. Cosa ne pensi?

LR: La questione dell'identità è sempre stata per me irrilevante. Non dico e faccio nulla che giustifichi il mio stare distante, è evidente come io preferisca mantenere una distanza salutare. Altri dovrebbero nascondersi.



CONTINUA...