fai da te_radicante anti fragile











Cy Twombly : (silenzio)
“La gente non vuole più fare il pubblico, né l'allievo, 
vuole entrare nella cosa, ossia sente che c'è già dentro.”













La ricerca di un nuovo equilibrio capitalitistico, e quindi la crisi, convive con una fase di grande sviluppo della tecnologia e dei mezzi di comunicazione. Come a dire, siamo poveri ma abbiamo tutti l'i-Phone con il quale possiamo "partecipare", dire la nostra, e avere finalmente i 15 minuti di celebrità che Andy Warhol aveva profetizzato negli anni '60. Una democrazia dei contenuti in cui autore e spettatore coincidono significativamente: non a caso il selfie dimostra una coincidenza di autore, (primo) spettatore e contenuto. In questa sovraproduzione ritorna fondamentale argomentare le opere, fare le differenze, evitare che tutto venga omologato sullo stesso piano. Lo scoppio della bolla speculativa ci costringe finalmente a guardare le opere, forse a vederle per la prima volta, e tentare di capire perchè ci interessano.

Dove sta il valore dell'arte? Delle opere d'arte? Diversamente a cosa serve l'arte? Una riflessione sul valore dell'arte non può essere oggi scollegata da una lettura semplice (non semplicistica) e legata alla nostra vita quotidiana. Alla nostra dimensione micro e locale. Soprattutto oggi con la crisi delle democrazione occidentali: crisi della rappresentazione artistica - bombardamento di immagini - quanto della rappresentazione politica - i nostri rappresentanti non ci rappresentano e dal 2008 in Italia non eleggiamo un Presidente del Consiglio.

Con la crisi delle democrazie ci accorgiamo che l'unico "spazio politico" praticabile con efficacia sia proprio la nostra dimensione micro e quotidiana. La scelta e la decisione che ognuno di noi può prendere nella sua vita vale 10-20 volte le ricadute che una scelta del Presidente degli Stati Uniti o del Consiglio, può avere su ognuno di noi. Semplicemente ci rassicura e ci fa comodo (perchè de-responsabilizza) pensare che non sia così. Concetti che non sono nuovi ma che con la crisi economica che preme e milioni di persone che aspettano interventi risolutivi dall'alto (interventi macro), diventano di stretta attualità. Luca Rossi non solo rende l'oggetto e la materia dell'opera marginali (recentemente ha presentato una serie di opere che giocano con l'arte moderna, usando unicamente le cose del "fai da te"), ma agisce, ed invita ad agire lo spettatore, solo ed esclusivamente in questa dimensione micro e locale. In particolare tutti i progetti di Luca Rossi iniziano e finiscono "dove ci si trova in questo momento". Se la flessibilità nel movimento di cose e persone ha contribuito allo stato di cirsi, il Sig. Rossi diventa ancora più fluido e flessibile, l'opera si trova sempre dove si trova lo spettatore. Si tratta di un nomadismo velocissimo ed immobile, in quanto opera e spettatore si trovano immediatamente nello stesso luogo, pur rimanendo immobili. E' il caso di uno degli ultimi interventi di Luca Rossi, siamo alla GAMeC di Bergamo: nella scena percepiamo elementi reali ed elementi che reali non sembrano, come un grande ammasso di materia al centro della stanza. Non sappiamo se questa "materia", ottenuta banalmente con un qualsiasi programma simile a photoshop, nasconda qualcosa o se non sia forse un sovraccarico formale, come se portassimo nella stanza del museo, contemporaneamente, tutte le opere passate da un dato punto. E questo sovraccarico formale, questa abbondanza di oggetti di cui possiamo godere, corrisponde impietosamente ad un vuoto di contenuti. Cosa rimane delle centinaia di opere che troviamo per le Biennali d'arte di tutto il mondo? E delle migliaia di post su Facebook o contenuti sul web? Contenuti e opere a cui noi tutti possiamo partecipare facilmente armati di iPhone, e che possiamo replicare e condividere ulteriormente e in modo esponenziale con i nostri amici e conoscenti.


Estratti da "Il Radicante" di Nicolas Bourriaud:


"E' quanto sta avvenendo in quest'inizio di XXI secolo, in cui predominano in tutti i campi del pensiero e della creazione il transitorio, la velocità e la fragilità, instaurando quello che si potrebbe chiamare un regime precario dell'estetica."

"Invece che subirla o resistervi per inerzia, il capitalismo globale sembra aver fatto propri i flussi, la velocità, il nomadismo? Allora dobbiamo essere ancora più mobili. Non farci costringere, obbligare, e forzare a salutare la stagnazione come un ideale. L'immaginario mondiale è dominato dalla flessibilità? Inventiamo per essa nuovi significati, inoculiamo la lunga durata e l'estrema lentezza al cuore della velocità piuttosto che opporle posture rigide e nostalgiche. La forza di questo stile di pensiero emergente risiede in protocolli di messa in cammino: si tratta di elaborare un pensiero nomade che si organizzi in termini di circuiti e sperimentazioni, e non di installazione permanente, perennizzazione, costruito. Alla precarizzazione dell'esperienza opponiamo un pensiero risolutamente precario che si inserisca e si inoculi nelle stesse reti che ci soffocano."








all around you 

materiali vari, polvere, macchie, uno schermo, terra, grafite.
2014

Museo GAMeC di Bergamo.







"...un arcipelago di insurrezioni locali contro le rappresentazioni ufficiali del mondo."

"E' al momento dell'esodo in effetti che gli ebrei si mettono in viaggio lasciando dietro di sé la macchina di statue egiziane i suoi dèi pesanti è strettamente codificati le sue piramidi e la sua ossessione per l' immortalità. L'esodo, scrive Peter Sloterdijk, rappresenta il momento in cui "tutte le cose devono essere rivalutate dal punto di vista della loro trasportabilità e si deve essere pronti a correre il rischio di lasciare dietro di tutto ciò che è troppo pesante da portare per gli uomini". 

La posta in gioco consiste allora nel tra scodificare Dio, farlo passare dal medium della pietra quello della pergamena.

In breve, nel passare dalla sedentarietà culturale a un universo nomade da una burocrazia politeista dell'invisibile è un Dio unico dal monumento al documento."



Dal Monumento al Documento. Leggendo "Il Radicante" mi accorgo che quello a cui constringe Luca Rossi è un esodo. Un contro movimento, un nomadismo immobile ma velocissimo, in quanto l'opera coincide sempre e ovunque con la dimensione locale dello spettatore. Opera e spettatore sono velocissimi ma immobili. In questo esodo siamo costretti ad abbandonare ciò che è troppo pesante da portare. Ed ecco che gli interventi di Luca Rossi sembrano "buchi neri" che hanno risucchiato tutto il processo che va dall'accensione delle luci nello studio dell'artista, fino all'ultimo spettatore che esce dal museo. Si passa dal monumento al documento. Ogni progetto finisce consapevolmente in una documentazione che spesso restituisce un'esperienza dell'opera più efficace e completa. In alcuni interventi Luca Rossi (come avviene anche nell'intervento alla GAMeC) riconduce all'interno dell'opera, nei materiali dell'opera, anche le macchie e la polvere presente sul nostro schermo. Rendendo ancora una volta evidente come, nolenti o volenti, siamo protagonisti di un nomadismo velocissimo e allo stesso tempo immobile. 

Bourriaud scrive "come il mito postmoderno potrebbe così essere raccontato come quello di un popolo liberato da un'illusione che lo soggiogava, quello del modernismo progressista occidentale, e che si trova volta a volta galvanizzato e smantellato dal suo riflusso: s'impone il paragone col mito di Babele, costruzione universalista e prometeica. Dalla caduta della torre di Babele nacquero le molteplici lingue dell'umanità inaugurando un' era di confusione che succedette al sogno di un mondo unificato è lanciato all'assalto del futuro (il modernismo che segna l'inizio della sua fine con la crisi petrolifera del 1973)".

E adesso? Bourriaud parla di altermoderno. Non spiega bene cosa sia. Sicuramente la degenerazione del postmoderno e della post-produzione oggi coincidono con lo scoppio di una bolla speculativa che investe il mercato dell'arte contemporanea (2009-2014). Non si chiede il nuovo e l'innovazione ma una consapevolezza. 

A mio parere Luca Rossi individua quattro direttive. La prima è lo stimolo ad un confronto critico vitale. La seconda una rinnovata attenzione per un nuovo rapporto con il pubblico. La terza si divide in due strade: un nomadismo veloce ed immobile ed uno sviluppo di opere d'arte "consapevoli" che possano affrontare frontalmente i fantasmi del modernismo e del postmodernismo. Opere che escano dai soliti rituali e che diventino esse stesse dispositivi di innesco, da una parte per il confronto critico e dall'altra per un inedito rapporto con il pubblico. Ed ecco il progetto "pret a porter"  presentato recentemente in occasione di Arte Fiera Bologna ("Speaking About"), dove ogni opera presenta nei materiali "un dialogo", diventando essa stessa pretesto per una riflessione con lo spettatore stesso. Tali opere, attraverso prezzi accessibili, hanno l'ambizione di entrare nelle case, esattamente come il blog è in grado di entrare nelle case delle persone. Potete vedere alcune opere di questa serie qui: http://tinyurl.com/p7ovhmo

Eve Rand





























                  


                      




Luca Rossi ha scelto di mantenere una distanza rispetto ai soliti rituali del sistema dell'arte. Da distante le cose si vedono meglio, e nulla vieta di arrivare improvvisamente. La sensazione che le pubbliche relazioni contino maggiormente delle ragioni e delle urgenze delle opere, ha innescato un processo critico verso il sistema, al fine di recuperare tali ragioni e urgenze, o diversamente, al fine di seppellire le opere nel caso non sia possibile trovare tali ragioni. Da tale azione critica è discesa spontaneamente una progettualità specifica, e non ultimo un progetto parallelo al fine di allargare e interessare il pubblico.

Tale azione si è sviluppata attraverso il blog Whitehouse, attraverso numerosi interventi con articoli su riviste specializzate (Flash Art Italia, Artribune Magazine, Artribune on line) e attraverso una continua attività di commento (in cinque anni si stimano circa 3000 commenti, e un'attività continua su social network come Facebook, Twitter e Skype).Tra il 2009 e il 2014 anni sono state pubblicate numerose interviste ai protagonisti del sistema dell'arte e a figure considerate interessanti: Angela Vettese, Francesco Bonami, Andrea Lissoni, Linda Randazzo, Massimiliano Gioni, Massimo Minimi, Jens Hofmann, Giulia De Monte, Alfredo Cramerotti, Luca Beatrice, Pier Luigi Sacco, Fabio Cavallucci, Michele Dantini, Roberto Ago, Stefano Mirti, Giacinto Di Pietrantonio, Giorgio Andreotta Calò, Valentina Vetturi, Danilo Correale, Cesare Pietroiusti, Micol Di Veroli. Sono stati organizzati progetti in numerosi contesti: New Museum (New York), Gagosian Gallery (New York), Galleria Zero (Milano), Uffici Imperatore (Milano), Whitney Museum (New York), Mart (Rovereto), Biennale di Carrara (2010), Galleria Civica (Trento), Palazzo Vecchio (Firenze), Ben Youssef Madrasa (Marrakech), Galleria Massimo De Carlo (Milano), Galleria T293 (Napoli, Roma), Tate Modern/Turbine hall (Londra), Komá Gallery (Molise), casa privata (Lubiana), Magazzino merci (New York), Castello Uzunosky (Varsavia), galleria privata (Varsavia), Punta della Dogana (Venezia), Biennale di Venezia (2013), Padiglione Paesi Nordici (Venezia, 2013), Fondazione Beyeler (Svizzera), Guggenheim Museum (New York), Sénanque Abbey (Francia), Castello di Versailles (Francia), GAMeC (Bergamo), Song Eun Art Space (Korea), Salannunziata (Imola).











Dal divano virtuale. 

Intervista sul VALORE DELL’ARTE a Luca Rossi

Alcuni lo amano, altri lo odiano. La sua critica schietta al mondo dell’arte buca lo schermo e infastidisce certe coscienze. É Luca RossiIn previsione di TULPENMANIE mi sono seduta accanto a lui sul divano virtuale del web e ho chiesto il suo parere sul VALORE DELL’ARTE. Ecco l’intervista che ne è uscita.
di Petra Cason


Petra Cason: Caro Luca, finalmente eccoci a discutere di “valore dell'arte”. So che è un tema caldo, che ti sta particolarmente a cuore. Ho preferito coinvolgerti utilizzando la modalità che ti è più congeniale, ossia discutendo di te “faccia fronte al monitor”, anziché seduti comodamente in poltrona a Verona. In quale veste prendi parte al dibattito (chi è Luca Rossi, perchè Luca Rossi)?


Luca Rossi: Il problema non è partecipare al dibattito dal vivo, ci mancherebbe, ma chiedersi quanto questo sia utile rispetto ad una conversazione che chiunque può leggere su internet (questa). Mi chiedo se abbia senso parlare ai soliti addetti ai lavori, che parlano parlano e poi non cambiano mai il loro approccio. Mi chiedo se sia (ancora) giusto partecipare gratuitamente a questi talk. Non per essere venale ma per pretendere un certo grado di professionalità (che non significa professionismo). Partecipo come Luca Rossi, e non sono certo anonimo come molti credono. In Italia, come in una grande famiglia italiana un po' mafiosetta, gli addetti ai lavori pretendono di conoscersi tutti; devono conoscersi tutti per intessere al meglio la maglia delle pubbliche relazioni, ovvero l'unica difesa e l'unico piedistallo per la propria attività. Io invece vorrei comportarmi in modo sincero anche a costo di essere antipatico. Solo così rimarranno le persone più oneste, leali e sinceramente interessate. 


PC: TULPENMANIE è il nome che ho dato al progetto che quest'anno porto nella sezione Independents di Artverona, accogliendo il tema affrontato quest'anno, quello della bolla speculativa, che ha investito senza dubbio anche l'arte contemporanea. Che rumore ha fatto, questa bolla, esplodendo?

LR: La bolla non ha fatto alcun rumore per tutti coloro che cercano ancora di perpetuare modelli, rituali e atteggiamenti che non funzionano più. E quindi la stragrande maggioranza del pubblico dell'arte contemporanea, che in Italia coincide impietosamente con gli addetti ai lavori. Scommetto che nella tua platea ci sono solo addetti ai lavori, collezionisti, loro amici e qualche persona dei settori limitrofi (design, moda, architettura, cinema, ecc). 


PC: Quando è esplosa realmente secondo te e chi credi sia stato maggiormente colpito?

LR: La bolla è scoppiata nel 2009, non a caso l'anno in cui è nato del tutto spontaneamente e naturalmente il mio blog. I più colpiti sono stati i collezionisti. Nel senso che tra fine anni 90 e il 2009 sono state vendute opere bidone, ossia opere caricate arbitrariamente di valore. Nel 2010 parlai di un Caso p-ART-malat. Proprio come per la Parmalat a fine anni 90, poche persone decisero il valore dei titoli arbitrariamente. 

Proprio per questo bisogna oggi avere il coraggio di ripartire da zero ricercando ragioni e motivazioni dell'opera. Ed è quello che sto cercando di fare su più fronti: linguaggio, critica e un rapporto del tutto inedito con il pubblico. 


PC: Credi che la crisi economica, andando a colpire nel vivo l'esasperato meccanismo di produzione di arte (troppi soldi foraggiavano troppi artisti mediocri) abbia esercitato realmente un'azione di scrematura?

LR: Sicuramente,  anche se i sopravvissuti e i nuovi astri nascenti tentano oggi di perpetuare gli stessi modelli fallimentari. Possono fare questo perché non esiste un pubblico vero, e quindi un'opinione pubblica che abbia strumenti e interesse per l'arte contemporanea. Quindi gli addetti ai lavori, come oligarchi di un regime in decadenza, si ostinano a compiacersi a vicenda e a rimanere su una nave che sta affondando lentamente (musei che chiudono, pubblico distante, bassissima qualità delle opere in Italia come all'estero, ecc.). Io credo che invece l'arte contemporanea possa avere un grande potenziale. 


PC: Ma i voti che tu hai dato ai sopravvissuti (lo sono, quelli di Italian Area?!) sono delle pagelle di molti “scolari somari”. Stai dando i voti a loro in quanto artisti o alla loro arte (sempre che tu non sia convinto che le due cose coincidano)?

LR: I miei voti sono diretti alla loro arte in relazione al contesto, alla storia e alle loro intenzioni. Ho preso una selezione significativa di Italian Area come pretesto esaustivo. Ma questi artisti sono soprattutto il risultato di un sistema italia che negli ultimi 20 anni non ha funzionato come doveva. Sono le vittime spesso inconsapevoli. La cosa significativa è stata che nessuno ha reagito pubblicamente ad uno scandalo di valore (i miei voti bassi), rispetto a quello che dovrebbe essere il vero patrimonio dell'arte italiana (le opere e gli artisti); allo stesso tempo ben due critici (uno giovane e uno senior) si sono indignati per il compenso alto di Germano Celant, e quindi uno scandalo ben meno grave del mio. Questa cosa è significativa per capire quanto opere e artisti siano marginali e poco rilevanti. Anche non riconoscendo autorevolezza alla mia critica, bisognerebbe prenderla sul serio dal momento che molti operatori autorevoli seguono e supportano il mio lavoro. 


PC: Di quale malattia soffre l'arte contemporanea? - Io credo sia bulimia (di riti, di visibilità, di mostre, di fiere, di chiacchiere) - (è guaribile? Posologia del medicinale?)

LR: La malattia è l'ignoranza, nel senso di ignorare il reale potenziale dell'arte oggi. L'arte presiede e segue ogni altro ambito e disciplina umana. La cura sarebbe una nuova formazione per il pubblico, gli artisti e gli addetti ai lavori. È una cura che non si risolve con un workshop ma con un approccio continuativo e costante. 


PC: Quando parli di valore dell'arte parli di valore in termini assoluti?

LR: Il valore è relativo a opera-contesto-intenzioni. Tale valore tende, senza mai raggiungerla, ad un'oggettività. L'argomentazione critica permette di avvicinarsi a questa oggettività, senza mai raggiungerla fortunatamente.

PC: L'integrità e l'autenticità dell'opera d'arte sono valori assoluti?

LR: Sono valori relativi, ma molto importanti.

PC: Chi stabilisce i criteri di valutazione? La critica, il pubblico, il mercato...

LR: I criteri sono molto superficiali e banali. Proprio per questo il valore dell'opera e dell'arte contemporanea, vivono una forte crisi. Una critica forte, un mercato motivato, un pubblico vero, interessato ed appassionato, potrebbero proteggere ed esaltare i valori in campo. Oggi viviamo l'anonimato della critica (non certo il mio!), un mercato immobilizzato (a parte valori sicuri di altissima fascia), un pubblico (almeno in Italia) disinteressato, lontano e abbandonato. 


PC: Mi interessa capire se l'arte contemporanea è (ancora) specchio del proprio tempo: quanto risente, in sé, delle dinamiche sociali, e cosa, a sua volta, è in grado di restituire? Possiamo considerare, questo, valore?

LR: L'arte è sempre specchio del proprio tempo, ma non credo proprio che questo sia un valore se manca la consapevolezza. Ecco, alle parole novità e innovazione bisognerebbe sostituire il termine consapevolezza. Se un giovane inizia a vendere computer vintage davanti a Media World, lo deve fare con consapevolezza, diversamente si tratta di una cosa significativa, ma che, senza consapevolezza, ha un valore molto basso. Il Padiglione Italia curato da Vittorio Sgarbi nel 2011, era molto significativo, ma non credo fosse molto consapevole. Sembrava di entrare in una grande magazzino, con tanta arte accatastata e dozzinale. Era lo specchio di quello che stava succedendo ed era successo, anche nelle gallerie cool milanesi, come se portassimo in una stanza tutta l’arte transitata in una galleria in un certo periodo di tempo. Quel Padiglione dimostrava l’incapacità da parte di critica e pubblico di fare le differenze tra le cose, e quindi si tende ad imbarcare di tutto. Peccato che Sgarbi non fosse consapevole di tutto questo. 




































































































all around you 

materiali vari, polvere, macchie, uno schermo, terra, grafite.
2014

Museo GAMeC di Bergamo.

















Luca Rossi il radicante (di Eve Rand)



Leggi anche "L'ecologia dell'arte del Sig. Rossi"
--> work in progress (Gamec, Bergamo)



"E' quanto sta avvenendo in quest'inizio di XXI secolo, in cui predominano in tutti i campi del pensiero e della creazione il transitorio, la velocità e la fragilità, instaurando quello che si potrebbe chiamare un regime precario dell'estetica."

"Invece che subirla o resistervi per inerzia, il capitalismo globale sembra aver fatto propri i flussi, la velocità, il nomadismo? Allora dobbiamo essere ancora più mobili. Non farci costringere, obbligare, e forzare a salutare la stagnazione come un ideale. L'immaginario mondiale è dominato dalla flessibilità? Inventiamo per essa nuovi significati, inoculiamo la lunga durata e l'estrema lentezza al cuore della velocità piuttosto che opporle posture rigide e nostalgiche. La forza di questo stile di pensiero emergente risiede in protocolli di messa in cammino: si tratta di elaborare un pensiero nomade che si organizzi in termini di circuiti e sperimentazioni, e non di installazione permanente, perennizzazione, costruito. Alla precarizzazione dell'esperienza opponiamo un pensiero risolutamente precario che si inserisca e si inoculi nelle stesse reti che ci soffocano."


Nicolas Bourriaud 
Il radicante (2014)






Risolutamente precario. Luca Rossi oppone alla precarizzazione dell'esperienza un pensiero risolutamente precario che si inserisce e si inocula nelle stesse reti che ci soffocano. Un'ecologia dell'arte. Un regime precario dell'estetica. Nel suo lavoro c'è massima mobilità (l'opera è sempre ed ovunque) e allo stesso tempo massima immobilità (spettatore e autore possono rimanere immobili dove si trovano). Fin dal 2009 ogni progetto di Luca Rossi (abuso volutamente della parola "progetto") vive certamente su più livelli ma finisce sempre e per un tempo indefinito, nella dimensione micro, locale e quotidiana dello spettatore. La mostra non è più un rito collettivo, pubblico e condiviso, ma un'esperienza privata che ha come luogo deputato il luogo in cui ci troviamo. Questo luogo infatti è per Luca Rossi l'unico spazio politico rimasto, dove poter prendere consapevolezza e valutare eventualmente la propria rivoluzione. Ogni scelta che l'individuo prende consapevolmente per la propria vita vale 10,20,30 volte le scelte macro e globali che possono prendere il Presidente degli Stati Uniti o pochi finanzieri internazionali. Semplicemente ci rassicura pensare "piove governo ladro", quando la cosa più efficace sarebbe "aprire l'ombrello". Ma come aprire l'ombrello? Ecco che l'arte sembra scivolare nuovamente in una sorta di religione pagana: in realtà l'impostazione critica di Luca Rossi e il suo contributo ad un progetto di education e divulgazione, sono semplicemente un punto di vista, che non vuole "educare" e "dire cosa bisogna fare per essere felici", ma creare le condizioni per "apprezzare". E quindi vedere diversamente il proprio quotidiano come unico spazio politico, come unico parlamento su cui poter agire.Munari diceva: saper vedere per saper progettare.

In una situazione in cui regna sovrapproduzione di contenuti e di progetti, incapacità di differenziarli e la fluidità dei flussi commerciali e informativi, l'esperienza della realtà viene necessariamente messa in discussione. La scelta "risoluta" consiste nel porgere l'altra guancia, e assecondare la fluidità, la flessibilità e la precarietà.

Dal 2009 ad oggi sono stati presentati sul blog Whitehouse, decine e decine di progetti. Molti si sono persi, altri si sono rinnovati, altri ancora vengono richiamati spesso. Il problema non può più essere la partecipazione, ma la responsabilità di questa partecipazione. Dal momento che tutti, armati di smartphone, possiamo partecipare, ed essere fruitori e creatori di contenuti. Non ci sono più scuse di accesso o reali barriere all'entrata.

L'opera che vediamo in una stanza del Museo Gamec di Bergamo, potrebbe essere considerata una sorta di buco nero che ha risucchiato tutto il processo che va dall'accensione delle luci nello studio dell'artista fino all'ultimo spettatore che esce dal museo. Infatti la dimensione in cui l'autore agisce immobile (a parte alcuni progetti che nascono da blitz spontanei) è la stessa in cui si trova lo spettatore, ed è la stessa in cui lo spettatore stesso inizia e finisce la sua fruizione. Questa modalità di fruizione, basata su una continua coincidenza di luogo, sembra spostare un paradigma e ridefinire la calssica modalità di intrattenimento. L'arte contemporanea non può più porsi  in competizione con forme di intrattenimento ben più efficaci, anche se ampiamente abusate.

Fluidità e precarietà vengono risolte dal loro essere esorbitate. L'opera avviene potenzialmente ovunque, tanto che nei materiali dell'opera vengono ricondotte anche polvere e macchie che si trovano sul nostro schermo. Il progetto avviene a budget zero e con lo spreco minimo di risorse, ancora una volta come risposta ad una crisi generalizzata. Ma una crisi che è soprattutto negli occhi e nella mente di chi la guarda. La crisi infatti è data soprattutto dall'incapacità di uscire da uno schema che deve necessariamente cambiare perchè non funziona più.

Il nomadismo di Luca Rossi implica che l'opera si trovi ovunque e per un tempo indefinito. Per tanto opera e spettatore sono sempre velocissimi, ma allo stesso tempo immobili. Sono velocissimi perchè spettatore e opera possono essere ovunque e in qualsiasi momento. Sono immobili perchè tutto avviene da fermi e con uno spreco pressoché nullo di energia.

Allo stesso tempo siamo davanti ad una fragilità dell'opera: esperienza su più livelli, distanza-vicinanza, esperienza diretta-indiretta, materialità-immaterialità, fruizione privata e solitaria, esperienza istantantanea con un grado minimo di intrattenimento. Inoltre un black-out potrebbe far sparire tutto. Alla crisi e alla precarietà vengono opposti progetti a budget zero, che travalicano e attraversano potenzialmente qualsiasi luogo.

La documentazione è significativa rispetto alla precarizzazione dell'esperienza che stiamo vivendo. Pensate a chi continua a riprendere il figlio nella recita scolastica, perdendo l'esperienza diretta e totale della recita del figlio. Luca Rossi estremizza questo aspetto, arrivando a disinnescarlo. O quanto meno a renderlo del tutto consapevole.

L'alfabeto di Luca Rossi si è composto lentamente quasi come conseguenza logica del suo estenuante, pedante ed ossessivo lavoro critico. Quando poi ci siamo accorti che nella platea del cinema ci sono solo registi, attori, sceneggiatori, ecc., e quindi solo addetti ai lavori, è diventano ugualmente spontaneo pensare all'education. Ma non il desiderio di educare e dire al pubblico cosa apprezzare, ma il desiderio di creare le condizioni che permettano al pubblico di "apprezzare". E quindi allargare il pubblico dell'arte contemporanea.

Eve Rand













Lo Stato dell'Arte (di Luca Rossi)


Quale valore oggi per l'ARTE? La scena italiana dell'arte contemporanea è ridotta ad un lumicino. A cosa serve l'arte contemporanea? L'opera ha un valore e un prezzo. Da cosa dipende questo valore? Oggi il valore deve in qualche modo essere in relazione con la vita e la quotidianità delle persone. Se l'arte non possiede questo valore meglio seppellire l'arte. E scivoliamo subito in una forma di religione pagana: se ci pensate le opere nel museo sembrano crocifissi nelle chiese. Intorno all'opera c'è un clima di omertà, nessuno sa e vuole argomentare. Non si va mai oltre un generico MI PIACE. O al limite mi da emozione. Altri dicono questa opera FUNZIONA (????) o questa opera è INTERESSANTE (????). Gli artisti d'altronde sono permalosissimi. Ed ecco che servono CURATORS, come sacerdoti, che selezionano e caricano automaticamente di valore le opere/crocifisso. In fondo nel caos e nella sovraproduzione in cui viviamo (il selfie dimostra che tutti possiamo essere artisti, spettatori fino ad essere il contenuto dell'opera) serve qualcuno che possa ORDINARE LE COSE: i curatori. Ed ecco il problema: il curatore selezione e affianca, ma non argomenta mai le differenze tra le OPERE che SELEZIONA e QUELLE che NON SELEZIONA. Sarebbe bello che Massimiliano Gioni facesse una mostra con due stanze: in una le opere che ha selezionato e nella seconda quelle che non avrebbe mai selezionato in vita sua prima di questa mostra (e qui Pino Boresta non potrebbe mancare). All'arte non serve novità e innovazione (soprattutto dopo le provocazioni anni 90 culminate simbolicamente nell'11 settembre) ma CONSAPEVOLEZZA. La consapevolezza è la novità. E quindi la capacità di argomentare le differenze tra le cose che vediamo, senza mai arrivare necessariamente a noiosi dati oggettivi. L'arte per questo è una palestra e un laboratorio dove sperimentare e allenare, proprio per raggiungere questa consapevolezza. In questa palestra-laboratorio si allenano modi atteggiamenti sensibilità e visioni delle cose. Spesso si sente dire NON CAPISCO QUESTA OPERA D'ARTE, dando per scontato di capire tutto il resto. E se fosse il contrario? Se il fatto di non capire l'opera fosse una spia luminosa che ci avvisa che forse non stiamo capendo tutto il resto? Munari diceva "saper vedere per saper progettare". Se per progetto intendiamo tutte le cose della vita, saper vedere diventa fondamentale, e si potrebbe dire che l'arte presiede a tutto. In quanto la vista e poi un ragionamento, presiedono a tutto. Ed ecco il valore dell'arte. Nello spazio dell'arte si sperimentano e si allenano modi, atteggiamenti, sensibilità e visioni attraverso loro testimoni che sono le opere. Per tanto il valore non sta nell'opera, ma nella nuova MAVS da cui precipita (nuvola di modi atteggiamenti visioni sensibilità). Nell'opera ci sta il prezzo in quanto testimone di valore. Compriamo l'IPhone come testimone di valore: come strumento che può aumentare il valore della nostra vita. Ma il vero valore dell'IPhone sta nella filosofia e nella tecnica da cui precipita. L'oggetto iPhone è solo un testimone di filosofia e tecnica.  Ma come determinare il valore di questa nuvola? Bisogna partire dall'opera in sè, e metterla in relazione al contesto (locale e globale) e alle intenzioni dell'artista (titolo, materiali, altre opere, dichiarazioni, biografica, ecc. ecc.). Ma questa cosa si potrebbe fare per tutto, per una casa, per l'IPhone o per un'opera di bene in africa. La radice del problema è trovare luoghi e persone che sappiamo argomentare l'opera. Il pubblico è distante e disinteressato, e si tende ad attirarlo con proposte pop ed elementari che si pongono in una competizione (persa in partenza) con altre forme di intrattenimento.