Report Italia (work in progress)








Nel sistema dell'arte italiano l'autoreferenzialità è un peccato inevitabile. Il Sig. Rossi deve necessariamente vestire tutti i ruoli del sistema, proprio per bypassare un sistema che non funziona: se io sono autore, contenuto, critico, curatore e spettatore allo stesso tempo, sono indipendente (pensate al SELFIE in cui autore, spettatore e contenuto coincidono). Il confronto si gioca su i contenuti. Ma come fare le differenze fra i contenuti? Chi è capace? Chi ha interesse?

In un sistema che non funziona la critica militante non paga. Un sistema che funziona dovrebbe avere tre anime in dialogo/confronto: artisti (e ne abbiamo tantissimi anche travestiti da curatori), addetti ai lavori (e ne abbiamo tanti, ma nessun critico) e pubblico (che in italia NON ESISTE).

Il sistema italiano si riduce ad un giochino di pubbliche relazioni con piccoli favori reciproci, sempre strabici con la scena internazionale. Non esiste confronto critico perché non esiste una vera platea, e perché argomentare luci e ombre non conviene a nessuno. Perché farlo? Rischiando di inimicarsi quel dato operatore che mi potrebbe far lavorare un pochino nel futuro??? Questo lascia gli artisti abbandonati ad una formazione che tende solo a compiacere creando illusioni e delusioni, o ad escludere senza motivazioni. Ed ecco che negli ultimi anni abbiamo solo formato copie ed epigoni di artisti internazionali (biscotti, arena, andreotta calò, trevisani, vascellari, assale, ecc ecc) semmai temperati dalla tradizione dell'arte povera. Questo in una situazione in cui il linguaggio stesa dell'arte vive una crisi profonda dopo la data del 2001.


Senza pubblico non esiste attenzione da parte della politica, e quindi i fondi per il contemporaneo sono stringati e vengono solo da fondazioni private che investono nell'arte per fare sostanzialmente degli spot pubblicitari sofisticati. Vedi Pirelli che con due euro promuove il brand e riqualifica un area dove ha forti interessi immobiliari. L'Hangar Bicocca (con una programmazione diluita e debole) fa figo e rende l'area più costosa, detta in due parole.

Il Blog Whitehouse dal 2009 è impegnato su tre fronti: la critica, una progettualità non convenzionale e progetti che creano le condizioni per formare e stimolare il pubblico. Tutto questo perché?

Perché l'arte può diventare una palestra-laboratorio fondamentale per stimolare sensibilità e spirito critico. Ossia doti fondamentali da usare nell'unico spazio politico rimasto, ossia la nostra dimensione privata, micro e locale. Non a caso tutti i progetti del blog insistono su questa dimensione e nascono dal ruolo di semplice spettatore/cittadino. 


























Dopo l'arte
After Art


David Joselit

postmedia books 2015
96 pp. 52 ill.
isbn 9788874901302-

L'arte, così come la conosciamo, sta cambiando drammaticamente, ma una reazione pubblica e/o critica tarda ad arrivare. Con questo brillante saggio illustrato, David Joselit descrive come l'arte e l'architettura si stiano trasformando nell'era di Google. Dietro la doppia spinta della tecnologia digitale (che consente di riformattare e diffondere le immagini senza sforzo) e l'accelerazione esponenziale dello scambio culturale attivate dalla globalizzazione, artisti e architetti stanno mettendo in evidenza Reti e network come mai prima. Alcune delle più interessanti opere contemporanee in entrambi i campi ora si basano sulla visualizzazione di modelli di diffusione dopo che sono stati prodotti oggetti e strutture, e dopo che sono entrati in network diversi (o hanno addirittura contribuito a costruirli). Comportandosi come se fossero motori di ricerca umani, artisti e architetti catturano e riformattano contenuti esistenti. Le opere d'arte risultano dalla cristallizzazione di moltitudini di immagini...



Ciò che risulta dopo l'era dell'arte è un nuovo tipo di energia che l'arte convoglia nei suoi formati eterogenei. L'arte crea connessioni tra élite sociali, filosofie sofisticate, una gamma di capacità tecnico-manuali atte alla rappresentazione, un pubblico di massa, dinamiche di attribuzione di significato alle immagini, speculazione finanziaria e affermazione di identità nazionali ed etniche. Né l'educazione superiore, né il campo dell'intrattenimento possiedono un format di questo genere. Per esempio, il mondo dell'arte connette un prezioso capitale culturale e un sofisticato discorso filosofico all'appetito delle masse e al mero potere finanziario. Né le università (i cui legami con la finanza sono più discreti e l'accesso del pubblico più limitato) né l'industria cinematografica (che attinge poco e niente alla cultura alta) riescono a raggiungere questa sapiente combinazione.


Dopo l'arte avrebbe potuto anche intitolarsi Dopo l'aura, considerato che risponde elegantemente a Walter Benjamin e al suo senso di perdita dell'arte nell'epoca della riproduzione tecnologica
















Dopo l'arte
After Art


David Joselit

postmedia books 2015
96 pp. 52 ill.
isbn 9788874901302-

L'arte, così come la conosciamo, sta cambiando drammaticamente, ma una reazione pubblica e/o critica tarda ad arrivare. Con questo brillante saggio illustrato, David Joselit descrive come l'arte e l'architettura si stiano trasformando nell'era di Google. Dietro la doppia spinta della tecnologia digitale (che consente di riformattare e diffondere le immagini senza sforzo) e l'accelerazione esponenziale dello scambio culturale attivate dalla globalizzazione, artisti e architetti stanno mettendo in evidenza Reti e network come mai prima. Alcune delle più interessanti opere contemporanee in entrambi i campi ora si basano sulla visualizzazione di modelli di diffusione dopo che sono stati prodotti oggetti e strutture, e dopo che sono entrati in network diversi (o hanno addirittura contribuito a costruirli). Comportandosi come se fossero motori di ricerca umani, artisti e architetti catturano e riformattano contenuti esistenti. Le opere d'arte risultano dalla cristallizzazione di moltitudini di immagini...



Ciò che risulta dopo l'era dell'arte è un nuovo tipo di energia che l'arte convoglia nei suoi formati eterogenei. L'arte crea connessioni tra élite sociali, filosofie sofisticate, una gamma di capacità tecnico-manuali atte alla rappresentazione, un pubblico di massa, dinamiche di attribuzione di significato alle immagini, speculazione finanziaria e affermazione di identità nazionali ed etniche. Né l'educazione superiore, né il campo dell'intrattenimento possiedono un format di questo genere. Per esempio, il mondo dell'arte connette un prezioso capitale culturale e un sofisticato discorso filosofico all'appetito delle masse e al mero potere finanziario. Né le università (i cui legami con la finanza sono più discreti e l'accesso del pubblico più limitato) né l'industria cinematografica (che attinge poco e niente alla cultura alta) riescono a raggiungere questa sapiente combinazione.


Dopo l'arte avrebbe potuto anche intitolarsi Dopo l'aura, considerato che risponde elegantemente a Walter Benjamin e al suo senso di perdita dell'arte nell'epoca della riproduzione tecnologica













Dopo l'arte
After Art


David Joselit

postmedia books 2015
96 pp. 52 ill.
isbn 9788874901302-

L'arte, così come la conosciamo, sta cambiando drammaticamente, ma una reazione pubblica e/o critica tarda ad arrivare. Con questo brillante saggio illustrato, David Joselit descrive come l'arte e l'architettura si stiano trasformando nell'era di Google. Dietro la doppia spinta della tecnologia digitale (che consente di riformattare e diffondere le immagini senza sforzo) e l'accelerazione esponenziale dello scambio culturale attivate dalla globalizzazione, artisti e architetti stanno mettendo in evidenza Reti e network come mai prima. Alcune delle più interessanti opere contemporanee in entrambi i campi ora si basano sulla visualizzazione di modelli di diffusione dopo che sono stati prodotti oggetti e strutture, e dopo che sono entrati in network diversi (o hanno addirittura contribuito a costruirli). Comportandosi come se fossero motori di ricerca umani, artisti e architetti catturano e riformattano contenuti esistenti. Le opere d'arte risultano dalla cristallizzazione di moltitudini di immagini...



Ciò che risulta dopo l'era dell'arte è un nuovo tipo di energia che l'arte convoglia nei suoi formati eterogenei. L'arte crea connessioni tra élite sociali, filosofie sofisticate, una gamma di capacità tecnico-manuali atte alla rappresentazione, un pubblico di massa, dinamiche di attribuzione di significato alle immagini, speculazione finanziaria e affermazione di identità nazionali ed etniche. Né l'educazione superiore, né il campo dell'intrattenimento possiedono un format di questo genere. Per esempio, il mondo dell'arte connette un prezioso capitale culturale e un sofisticato discorso filosofico all'appetito delle masse e al mero potere finanziario. Né le università (i cui legami con la finanza sono più discreti e l'accesso del pubblico più limitato) né l'industria cinematografica (che attinge poco e niente alla cultura alta) riescono a raggiungere questa sapiente combinazione.


Dopo l'arte avrebbe potuto anche intitolarsi Dopo l'aura, considerato che risponde elegantemente a Walter Benjamin e al suo senso di perdita dell'arte nell'epoca della riproduzione tecnologica.

















































































































where is artwork value?





SCROLL DOWN (la via o il sentiero)

azione, documentazione, teca, materiali vari.

Sénanque Abbey, Gordes (FR), 2013.
























La presentazione della serie "pret a porter", prima e durante Arte Fiera Bologna, ha permesso di confermare e capire meglio alcune dinamiche. La realtà italiana non è una pozzanghera, come credono alcuni artisti emigrati all'estero, ma semplicemente mancano opportunità formative ed educative efficaci. Per "formazione" ed "educazione" non intendo "bisogna dire cosa va bene e cosa no", ma intendo la capacità di organizzare un contesto dove ritrovare senso critico. Gli ultimi 25 anni di vita italiana hanno completamente annullato questo senso critico. L'arte contemporanea non è altro che una palestra e un laboratorio dove sperimentare e allenare la propria sensibilità. Senza potersene accorgere questa sensibilità andrà a modificare anche il modo con cui ci poniamo nella vita di ogni giorno, ben oltre il museo o la galleria d'arte.

Quando scrivo di creare contesti fertili per "formare" ed "educare" non mi riferisco solo al pubblico. Ma a tutti: artisti, giornalisti, critici, curatori, collezionisti ecc. ecc. Come dicevo non si tratta di imporre verità assolute, ma di favorire il dialogo e la capacità di porsi domande. Questa cosa fa paura a tutti. Gli stessi collezionisti, che investono di tasca propria, difficilmente nel mondo dell'arte andranno a protestare e a porre domande.

Il sistema cerca di caricare di valore arbitrario un'opera d'arte. Lo fa attraverso le pubbliche relazioni e attraverso il curriculum dell'artista, che può essere condizionato dagli stessi operatori che devono caricare di valore un'opera. Questa pratica non è diversa da quello che è successo a fine anni 90 in Italia nel Caso Parmalat: alcuni manager avevano caricato di valore arbitrario i titoli Parmalat, truffando i risparmiatori. Ma mentre i risparmiatori protestano perché ne va dei loro unici guadagni, il collezionista benestante è meno incentivato a protestare per un'opera dopata; tanto più che protestando fa anche la figura dello stupido, che si è fatto truffare. Il collezionista tende a stare zitto, cercando di rivendere la propria opera. Se tutto il mercato fa così, se tutti i collezionisti fanno così, il risultato è che le opere-bidone tendono a girare nuovamente. E' come se i risparmiatori Parmalat, senza un'autorità di garanzia super partes, avessero rivenduto i loro titoli Parmalat al prezzo migliore che potevano ottenere. Nel caso dell'arte questa dinamica prolunga la bolla speculativa. Se ho comprato un Paolo Chiasera a 5000 euro nel 2003. Nel 2008 inizio a capire che l'artista non sta avendo quella visibilità internazionale che mi aspettavo; desidero rivenderlo. Se mi lamento e rendo pubblico il mio desiderio, più difficilmente troverò qualcuno disposto ad acquistare il mio Chiasera. Nel 2010 riesco a rivenderlo a 3500 Euro. Perdo solo 1500 euro.



TUTTO INTORNO A TE

terra, grafite, materiali vari.

GAMeC, Bergamo 2014.




La cosa che secondo me è interessante, è porsi delle domande: perché quell'opera costa 3500 Euro? Perché 5000 Euro?

Il gallerista anni 90 tende a non voler porre nessuna domanda. Il suo target è la persona ricca, non certo l'idraulico, e per la persona ricca non cambia nulla spendere 500 o 5000 euro. Anzi più l'opera costa meglio è, infatti aumenta il valore di status symbol. Nel mercato dell'arte diminuire il prezzo può diventare deleterio. Questo è un mercato stupido e poco efficiente. Esattamente come se andassimo al supermercato, ed essendo miliardari, preferissimo spendere per un chilo di mele 1000 euro. La domanda è : perché quelle mele costano 1000 Euro?

Come emerso dal lavoro di questi anni, abbiamo capito che il valore dell'opera NON è nell'opera. Nell'opera abbiamo un prezzo. L'opera è solo un testimone silenzioso del valore. Il valore dell'opera è gratis: il valore di Lucio Fontana tutti lo possono fruire gratuitamente, nel suo caso possiamo anche ricreare un'opera (testimone di valore) facilmente. Se voglio possedere un Fontana originale allora devo pagare un prezzo.

E' come se le opere d'arte fossero precipitati di valore. E il valore stesse su una NUVOLA MAV (modi, atteggiamenti, visioni). La nuvola la possono vedere liberamente tutti da ogni luogo, mentre solo alcuni possono possedere la pioggia, la grandine e la neve che precipitano dalla nuvola stessa.

Siamo disposti a pagare un prezzo per un'opera, in quanto questa è un testimone e precipitato di valore. Più consideriamo quel valore alto (anche se poi è gratuito) più siamo disposti a pagare. Allo stesso tempo se il prezzo è alto pensiamo che automaticamente il valore sia alto; se il prezzo è basso ci fidiamo meno. Paradossalmente. Bisognerebbe superare queste riflessioni, e guardare semplicemente l'opera. Come misurare il valore dell'opera?

Per ogni opera possiamo definire un valore che tende ad essere oggettivo, senza mai esserlo del tutto. Fortunatamente, se no sarebbe noiosissimo, e l'arte non aprirebbe invece a quella dimensione di libertà che la caratterizza. Una buona opera d'arte è viva, quindi cambia giorno dopo giorno. Ma per vedere questo bisogna avere (come in ogni ambito umano) un minimo di strumenti e nozioni. Strumenti e nozioni, senza opportunità formative, si accumulano lentamente nella mente delle persone. Ma questo processo è lentissimo. Servono opportunità formative che sappiamo creare un contesto fertile di riflessione e non imporre verità assolute.

Ma come misurare il valore dell'opera? E' possibile avvicinarsi ad un valore oggettivo dell'opera raggiungendo una forma di consapevolezza che potremo definire critica. Tale consapevolezza, con l'aiuto di artisti, addetti ai lavori e pubblico, mette in relazione tre aspetti:

- intenzioni dell'artista (biografia, altre opere, materiali utilizzati, titoli, interviste, articoli)

- opera in sè (l'opera come la si vede, senza altre stampelle)

- contesto (specifico, ma anche politico, economico, sociale e storico, la storia dell'arte e non solo)


Prendiamo un'opera di valore risaputo e diffuso: un super cellulare i-Phone. Chiamiamolo i-Phone 10. Se dessimo l'i-Phone 10 ad un uomo primitivo costui non avrebbe colto il valore dell'i-Phone e lo avrebbe tirato contro un mammut, ottenendo un nulla di fatto. Quindi il contesto è fondamentale. L'i-Phone 10 è leggero, ricco di spazio interno, piccolo, ecc. Ha tutta una serie di caratteristiche che noi possiamo apprezzare in quanto uomini del 2020. Le intenzioni dell'autore per l'I-Phone 10 sono sempre chiarite da una presentazione planetaria dove i vertici di Apple descrivono le loro intenzioni. Non dicono ovviamente l'i-Phone salverà il mondo, dicono semmai che lo migliorerà.


Lucio Fontana




Ora facciamo lo stesso esercizio per una tela di Lucio Fontana. Cerchiamo di vederla per la prima volta, noi uomini del 2015, in questo dato contesto. Come ho detto bisogna avere un minimo di nozioni e strumenti:

La pittura ha attraversato la vita dell'uomo sulla terra. Secondo me è interessante perché la tela o la superficie della caverna, sono aree limitate e piatte. La pittura costringe l'autore in un limite, costringe a consapevolezza: non posso fare di più: "devo stare qui dentro". L'installazione, il video, la performance, ecc ecc danno una tridimensionalità e un menù talmente ricco, da far cadere in tentazione l'artista. Come se l'artista potesse salvare il mondo direttamente, come se un dentista per essere un buon dentista dovesse risolvere i problemi del politico, dell'insegnante, del pompiere e del bancario, ecc. Nella pittura questo pericolo non c'è, o comunque è molto distante.

Mentre negli Stati Uniti imperversava l'espressionismo astratto, e quindi una pittura che nasceva da movimenti netti e fuori dagli schemi, dando la libertà all'artista di esprimere il proprio conscio ed inconscio fuori dalla griglia pittorica rinascimentale, Lucio Fontana in Italia commetteva un solo gesto, e commetteva l'azzardo di sporgersi qualche millimetro più in avanti dell'espressionismo astratto. Questi pochi millimetri fanno la differenza: non solo il taglio di Fontana apre ad una nuova dimensione, ma costringe ad una tremenda consapevolezza: "questo è solo un oggetto, è solo una tela". Il taglio sulla tela trasforma quello spazio bianco, potenzialmente ricco di possibilità, in quello che è, un semplice oggetto fatto da un tessuto e da un telaio. Il valore gratuito di Fontana sta nell'essere uscito brillantemente da uno schema. Con un gesto semplicissimo, ma non semplicistico. Cosa succederebbe se noi stessi potessimo fare la stessa cosa per la "tela della nostra vita"? Da questa ricchezza di possibilità, con un semplice gesto, aprire ad una nuova dimensione di vita?

Ecco il valore di Fontana. Ecco perché ha senso tenere un testimone silenzioso di questo valore in casa. Ogni mattina ci ricorderebbe questo.



HAMBURGER (I-II)

tecnica mista su tela ancora confezionata.

Arte Fiera Bologna, 2015.



Cosa succede se un'opera può diventare testimone di più artisti? Qui sopra trovate due esempi (Hamburger I-II, dalla serie "pret a porter"). Dopo Fontana, giriamo la tela quasi ingenuamente e troviamo Giulio Paolini; poi sulla tela accora confezionata le combustioni di Alberto Burri. Per poi accorgerci del fatto che l'opera è un prodotto in serie, e quindi la pop art di Andy Warhol. Il prezzo di quest'opera è di 390 euro. E il valore?  Ma il valore non va ad intaccare il prezzo, almeno fino a quando non si creerà un asta spontanea, dove le persone potranno puntare quello che desiderano per possedere almeno una delle 10 opere della serie Hamburger.

Tutta la serie "pret a porter" è creata con cose e oggetti del "fai da te". Se uno si fa l'opera in casa? Il messaggio è proprio questo: potete farlo a casa vostra. Esattamente come l'intervento alla Gamec esiste solo dove vi trovate, quella è l'unica dimensione politica praticabile.

Hamburger sembra il risultato di un'interrogatorio alla tela ancora confezionata nel cellofan. Ogni riferimento ai 4 artisti sembra fermare e contraddire l'altro. Paolini ferma Fontana? Burri si disinteressa dei primi due, e Warhol ridimensiona tutto. Potrebbe anche essere. Ma che differenza c'è tra l'avere l'originale e una copia? Nessuna. O meglio, acquistare Hamburger originale del Sig. Luca Rossi, significa riconoscere e sostenere un lavoro che procede quotidianamente da sei anni. Non si tratta solo di comprare un'opera d'arte, ma un'opera che in qualche modo discende dal una certa impostazione critica, opinabile, ma sicuramente approfondita e argomentata. Attraverso questo blog ma anche attraverso numerosi articoli su riviste specializzate (artribune, exibart, flash art, ecc), interviste e confronto nei social network. Da un punto di vista strettamente economico, il prezzo della singola opera potrebbe aumentare in futuro se aumenta la domanda. Non è certo questo il problema.







Con Una Sola Mano: Il punto sul "migliore" sistema dell'arte in Italia




 Giorgio Napolitano diceva che il Quirinale è la casa degli Italiani. Qualche mese fa ho scritto un pezzo per Artribune dove scrivevo che l'unico parlamento efficace è a casa di ognuno di noi; l'unica dimensione politica ancora praticabile con successo è intorno a noi. Ed effettivamente questa mostra al Quirinale esiste solo ed esclusivamente nelle case di ognuno di noi, o comunque dove ci troviamo in questo momento. L'intervento ufficiale e materiale è sempre possibile, ma anche inutile e lento con le sue lungaggini tecniche e burocratiche. In fondo con lo sviluppo di tecnologia e internet tutti possiamo partecipare. E mi interessa che ogni mio intervento al Quirinale possa essere come un "buco nero" che ha risucchiato tutto il processo che solitamente va dall'accensione delle luci nello studio dell'artista fino all'ultimo spettatore che esce dal museo. L'opera è nata, usando effettivamente una sola mano, nella dimensione micro; e finisce nella dimensione micro e locale di ognuno di voi. Mi hanno chiesto cosa c'entra questa mia linea di lavoro con la serie di opere "pret a porter" presentate recenteme (clicca qui per vederne una parte su eBay). Prima di tutto le opere "pret a porter" sono state realizzate esclusivamente con materiali del "fai da te", e quindi potenzialmente ricreabili in casa. In secondo luogo quella serie di opere discendono da un atteggiamento "antifragile" e "altermoderno", che tenta di superare la crisi della contemporaneità. Termini che fanno riferimento a due libri importanti per contesturalizzare questa serie di opere (Radicante di Bourriaud, Antifragile di Taleb). Se la globalizzazione con la velocità e la facilità dei flussi di cose e persone, ha portato crisi e precarietà generalizzata, la mostra al Quirinale è un esempio di come poter reagire a tale crisi: e quindi diventando ancora più veloci e fluidi. Un atteggiamento che potremo definire antifragile citando Taleb e altermoderno citando Bourriaud. Le opere "pret a porter" discendono dal medesimo atteggiamento applicato alla crisi della postmodernità: un vuoto mascherato da una sovrapproduzione e postproduzione di contenuti. Come reagire a tale vuoto? Giocando con i codici dell'arte moderna, come potrebbe fare un bambino a casa sua, nella sua cameretta. Le opere "pret a porter" non sono moderne perché sono una parodia, uno scary movie del moderno; ma non sono neanche postmoderne perché fanno consapevole e manifesto riferimento al moderno (sono un "the best of"). Per tanto tali opere, come anche la linea di lavoro applicata al Quirinale e negli ultimi 6 anni, possono essere definite "altermoderne" (superamento del postmoderno) e "antifragili" (non opporsi alla crisi in modo rigido o fragile, ma gestendo e prosperando nel caos e nelle crisi). L'identità è stata eliminata in favore di quella di tutti; il fine non è la novità e l'innovazione (se il moderno cercava la novità assoluta il postmoderno cerca il remix originale) ma la consapevolezza. Ogni opera "pret a porter" presenta nei materiali utilizzati un dialogo, proprio per argomentare e indagare, se ci fosse, il valore di tale opere nei confronti del nostro presente. Penso che sia significativa l'opera Hamburger I perché, partendo da una tela ancora confezionata, è partito un vero e proprio interrogatorio all'opera, quasi una sevizia. Le opere "pret a porter" non sono messe su un piedistallo, ma sono messe alle corde.


Se non capisci una cosa cercala su You Tube

materiali vari
Luca Rossi
Quirinale
Roma 2015. 







Premetto che la critica e le analisi critiche in Italia non pagano. Ossia non interessano a nessuno, sarebbe come chiedere al parlamento di farsi analizzare da Marco Travaglio, nel momento in cui fuori dal parlamento non ci sono cittadini. Perchè farlo?

A me invece piace andare contro corrente e tra un caffè e un cappuccino al bar della vita, scrivo queste poche righe, consapevole del fatto che le dinamiche del sistema, alla lunga, diventano opera e contenuto. L'arte contemporanea presiede potenzialmente a tutto, e in Italia viene tenuta come un'opportunità nel cassetto.

A partire dal 2009 per colpa della crisi economica ma non solo, è iniziata a scoppiare la bolla speculativa che caratterizzava il mercato interno dell'arte contemporanea: ossia coloro che avevano acquistato "opere d'arte contemporanea" si sono accorti che le opere che possedevano non valevano in termini di prezzo quello che le avevano pagate. Mentre nel caso dei titoli finanziari il risparmiatore raggirato tende a protestare (come direbbe Albert Hirschman, farebbe "voice"), nel mercato dell'arte il collezionista tende a stare zitto, fondamentalmente per tre ragioni: 


- in generale il collezionista di arte non ha problemi nello spendere 15 invece che 5 anche se l'opera valeva 3; 

- sta zitto per non essere considerato stupido e perdere in status sociale; 

- e infine per avere la speranza di poter rivendere la propria opera acquistata ad un prezzo gonfiato. 

Anche coloro che hanno acquistato la propria opera perché gli piaceva e perchè gli trasmetteva "emozione", si accorgono che il prezzo pagato era comunque eccessivo. Anche rispetto una prospettiva futura in cui l'artista giovane e mid career va comunque incontro ad un esercito di artisti similari, per cui sarà difficile giustificare un aumento del prezzo.



tutto intorno a te

materiali vari
Luca Rossi
Quirinale
Roma 2015. 




Questa bolla speculativa ha depresso il mercato interno e ha portato le migliori gallerie italiane a lavorare solo sul mercato estero, proponendo quasi esclusivamente artisti stranieri. Per queste gallerie l'italia è diventata solo una base esotica, ma il vero mercato si gioca nelle grandi fiere internazionali.

Allo stesso tempo la crisi economica ha depresso le iniziative interne di promozione e divulgazione dell'arte contemporanea. C'è molto meno denaro da investire in Premi, Mostre per Giovani Artisti, Residenze, e altre occasioni, in cui l'artista giovane e meno giovane possa sperimentare e allenare il proprio lavoro. Questa tendenza ha drasticamente diminuito le opportunità per il sistema interno di esercitare favoritismi ed idolatrare un certo gruppo di artisti (gli anni 2000 sono stati caratterizzati dall'asse Venezia-Milano-Torino con i garuttini che facevano da padrone). Ma cosa ben più interessante è stato rilevare che quei favoristismi non sono serviti a nulla, basta andare a vedere oggi i garuttini di prima, seconda e terza generazione. Ma il problema non è rivendicare quello che è successo, ma individuarne le motivazioni, anche rispetto al presente e al futuro. A mio parere il problema è di tipo formativo, che non significa educare e dire alle persone cosa pensare, ma significa creare le condizioni ideali per formare e argomentare uno spirito critico. Questo significa stimolare e formare spettatori, critici, curatori e artisti. Significa ritrovare e rivitalizzare le ragioni e le motivazioni dell'opera d'arte, come motore centrale di un sistema che ruota attorno. Se l'arte contemporanea vince questa sfida, e potrebbe farlo, può diventare molto di più di una modalità raffinata per fare pubblicità all'istituzione pubblica o privata di turno. 



10 settembre 2001

fotografia di grandi dimensioni
Luca Rossi
Quirinale
Roma 2015. 




Un sistema dell'arte vitale deve vedere tre componenti attive: spettatori, artisti e addetti ai lavori. In questo momento in Italia gli spettatori non esistono, e troviamo unicamente artisti, tanti, intercambiabili e quindi debolissimi, e addetti ai lavori, tanti e spesso improvvisati, non formati adeguatamente da scuole vetuste, e presi in prestito da settori limitrofi. Fuggire e aspirare all'estero non conta nulla, un albero non può fuggire dalle proprie radici, e il caso di successo "Cattelan" dimostra che l'unica strada è semmai quella di affrontare ed esorcizzare le proprie radici, anche a costo di farlo in modo cinico e opportunistico. Ogni luogo è internazionale per definizione, e il sistema Italia solo partendo da questa constatazione, vissuta fino in fondo, potrà togliere dal cassetto la grande opportunità dell'arte contemporanea.

















whitehouse 2009-2015


Luca Rossi started the blog Whitehouse as a platform for art criticism, information, and art-related projects in 2009. Major representatives of the art world have participated in the blog, contributing to its popularity. Luca Rossi has written in social networks and specialized magazines like “Flash Art,” Artribune.com, and Exibart.com with lucid criticism and originality. Luca Rossi was defined “the most interesting personality” in Italy by Fabio Cavallucci, Director of Museo Pecci in Prato (Exibart.com, 2010), and “the new Vanessa Beecroft” by Giacinto Di Pietrantonio, Director of GAMeC Museum (Artribune.com, 2013). In 2011 Alfredo Cramerotti (curator of “Manifesta” and Museum Director Mostyn, Scotland) wrote: “To be honest, I’m not Roberta (a 2011 project by Luca Rossi) made me think more than dozens of other projects I have seen.”


2009

articles:
- question time 1 di l. rossi (Flash Art Italia) 
- question time 2 di l.rossi (Flash Art Italia)
- question time 3 di l. rossi (Flash Art Italia)

art projects: zero project, galleria zero, milano; one calder, uffici immobiliari imperatore, milano; new museum, new museum, new york; expectation, mart, rovereto; everything you always now..., galleria massimo de carlo, milano;

interviste con cesare pietroiusti, valentina vetturi, angela vertese, giacinto di pietrantonio, andrea lissoni. 

2010

articles:
- fenomenologia di luca rossi (di f.cavallucci)
- uno, nessuno, centomila (di r.ago)

art projects:
I'm not Roberta, whitney museum and different venue; yes medio xxx, palazzo vecchio, firenze.

art education: corso pratico di arte contemporanea 

interviste con: pier luigi sacco, jens hoffman, anton vidloke, alfredo cramerotti. 


2011

articles:
- I'm not roberta review (di a. cramerotti)

projects: ...plays.., varsavia;

interviste con: maurizio cattelan, michele dantini, massimo minini. 

selezione del premio moroso

art education: corso pratico di arte contemporanea 


2012

articles:
giovani indiana jones (di l.rossi), (artribune)
biennale di venezia vs documenta (di l.rossi) (flash art italia)
arte e politica: una mostra chiamata mondo (di l.rossi) (artribune)
la funzione dell'arte: ikea evoluta, cyclette e microscopi (di l.rossi) (artribune)

projects: ou vous etes, versailles castle, versailles.

art education: duchamp chef


2013

articles:
il padiglione italia di oggi e di domani (di l.rossi) (artribune)
sistema dell'arte: dove sono critica e pubblico (di l.rossi) (artribune)

projects: kremlino, biennale di venezia, venezia; scroll down (la via o il sentiero), sénanque abbey, gordes (fr).

art education: duchamp chef

2014

articles:
- italian area. giudizi artisti a-c (di l.rossi) (artribune)
- italian area.giudizi artisti d-l (di l.rossi) (artribune)
- italian area.giudizi artisti m-p (di l.rossi) (artribune)
- italian area.giudizi artisti r-x (di l.rossi) (artribune)
- intervista a luca rossi (di a.polveroni) (exibart)
- Celant e il compenso di 750000 euro.Indignarsi è giusto? (di l.rossi) (exibart)
- Question time. Vincenzo Trione come Antonio Conte (di l.rossi) (exibart)


projects: 10 settembre 2001, galleria massimo minimi/galleria zero/new museum/song sung space; tutto intorno a te, gamec, bergamo; visione territoriale (a cura di giacinto di pietrantonio), civitella del tronto; another new show, galleria placentia, piacenza; speaking about, arte fiera, bologna/imola.  

art education: myduchamp

2015

articles:
un giro all'expo, no scusate alla biennale (di l.rossi) (exibart)
sul sistema dell'arte e altre storie (di l.rossi) (exibart)

secondo posto e menzione speciale con myduchamp (premio combat 2015)

art education: myduchamp

projects: guardare non è più..., pesaro, 2015; con una sola mano, quirinale, roma; il mondo è solo quello che vedi adesso, biennale di venezia, venezia.