Disobbedire a Noi Stessi




Tao (la Via o il Sentiero)
Sénanque Abbey, Gordes 2013. 





La disobbedienza collettiva, pubblica, come la conosciamo rispetto alla retorica NO GLOBAL, è qualcosa di anacronistico. Spesso si tratta semplicemente di far pubblicità ad un determinato gruppo o a un prodotto, come Hangar Bicocca è servito a Pirelli per vendere al doppio del prezzo gli immobili alla Bicocca. La vera disobbedienza, il vero spazio politico, è nel nostro privato, micro e quotidiano. Dobbiamo disobbedire a NOI STESSI; al nostro modo di vedere le cose, al nostro modo di pretendere ad ogni costo certe cose. 

L'arte in Italia, ma non solo, è spesso un'opportunità mancata. Una palestra e un laboratorio chiusi. Che invece potrebbero servire per sperimentare e allenare una sensibilità diversa, e quindi anche uno spirito critico per vedere diversamente le cose. 

L'opera d'arte reagisce alla crisi e quindi alla precarietà portata dai flussi di persone e cose, diventando ancora più fluida. Tanto che l'opera può essere sempre dove ci troviamo (vediamo il selfie del nostro amico). Ma non solo, noi stessi possiamo diventare opera (contenuto), autore e spettatore nello stesso istante (il selfie stesso). Non si tratta di vedere la partita in differita ma di partecipare tutti a questa partita. In questa situazione, senza una confronto critico capace di argomentare le differenze, si ottiene il caos. Solitamente il Curatore, come un sacerdote-ordinatore, è chiamato a mettere ordine con la sua selezione. Tale selezione diventa il vero film, la vera opera, senza però essere film ed opera. Ed ecco che il risultato finale, dopo tante mostre e biennali, è sostanzialmente un vuoto. 





the world is only what you see now
La Biennale di Venezia (a cura di Luca Rossi)








Non si tratta di creare un nuovo prodotto ma di vedere diversamente quello che abbiamo già. In questo senso il progetto MyDuchamp propone ogni anno una collezione di opere d'arte che nascono dai materiali del "fai da te" e giocano con i codici dell'arte moderna. Non solo MyDuchamp porta il museo a casa delle persone, ma vuole rendere evidente come questo "museo" si trovi già a casa delle persone (nella cassetta del "fai da te"). E' appunto sufficiente ribaltare la propria sensibilità, riconsiderare e stimolare il proprio spirito critico. 








MyDuchmap Project (Interior ART Design)
in collaborazione con Enrico Morsiani 




Potremo dire che la modalità di lavoro sviluppata in questi sei anni come conseguenza critica, si incontra con un percorso maggiormente formativo, che dal Corso Pratico di Arte Contemporanea, passando per Duchamp Chef, ha portato a MyDuchamp. Ossia una forma di IKEA EVOLUTA consapevole e sostenibile: www.myduchamp.com







the world is only what you see now



the world is only what you see now 
la Biennale di Venezia
57. Esposizione Internazionale d’Arte





Luca Rossi created the Whitehouse blog in 2009. Through this blog, he do art critique, information, and organize unconventional and socially committed projects. Major representatives of the art world have participated in the blog, contributing to its popularity. Luca Rossi has written in social networks and specialized magazines like Flash Art, Artribune.com, and Exibart.com with lucid criticism and originality. Luca Rossi was defined “the most interesting personality” in Italy by Fabio Cavallucci, Director of Museo Pecci in Prato (Exibart.com, 2010), and “the new Vanessa Beecroft” by Giacinto Di Pietrantonio, Director of GAMeC Museum (Artribune.com, 2013). In 2011 Alfredo Cramerotti (curator of Manifesta and Museum Director Mostyn, Scotland) wrote in a review: "To be honest, I'm not Roberta (a 2011 Luca Rossi project) made me think more not dozens of other art projects that I visited live."


"“Digital as a dimension of everything" was a motto coined by the Tate in 2013. If this credo hasn't come to your local art museum, it will soon. The tension/fusion between smartphone and art will clearly be one of the dominant themes of the immediate future." (Ben Davis)


La RICERCA di un nuovo equilibrio capitalitistico, e quindi la crisi, convive con una fase di grande sviluppo della tecnologia e dei mezzi di comunicazione. Come a dire, siamo poveri ma abbiamo tutti l'iPhone con il quale possiamo "partecipare", dire la nostra, e avere finalmente i 15 minuti di celebrità che Andy Warhol aveva profetizzato negli anni '60. Una democrazia dei CONTENUTI in cui autore e spettatore coincidono significativamente: non a CASO il selfie dimostra una coincidenza di autore, spettatore (primo) e CONTENUTO. In questa grande sovraproduzione/post-produzione ritorna fondamentale argomentare le opere, fare le differenze, evitare che tutto venga messo sullo stesso piano. Lo scoppio della bolla speculativa ci costringe finalmente a guardare le opere d'arte, forse a vederle per la prima volta, e tentare di capire perchè ci interessano.

Dove sta il valore dell'arte? Delle opere d'arte? Diversamente a cosa serve l'arte? Una riflessione sul valore dell'arte non può essere oggi scollegata da una "LETTURA semplice" (non semplicistica) da mettere in relazione alla nostra vita quotidiana. Alla nostra dimensione micro e locale. Soprattutto oggi con la crisi delle democrazione occidentali: crisi della rappresentazione artistica - bombardamento di immagini - quanto della rappresentazione politica (i nostri rappresentanti non ci rappresentano e dal 2008 in Italia non eleggiamo un Presidente del Consiglio). "Io ho votato Renzi ALLE primarie" è una frase che risuona e che risulta gravemente anticostituzionale.

Con la crisi delle democrazie ci accorgiamo che l'unico "spazio politico" praticabile con efficacia sia proprio la nostra dimensione micro e quotidiana. La nostra vita quotidiana.  La scelta e la decisione che ognuno di noi può prendere nella sua vita quotidiana, vale 10-20 volte le ricadute che una scelta del Presidente degli Stati Uniti può avere su ognuno di noi. Semplicemente ci rassicura e ci fa comodo (perchè de-responsabilizza) pensare che non sia così. Concetti che non sono nuovi ma che con la crisi economica che preme e milioni di persone che aspettano interventi risolutivi dall'alto (interventi macro), diventano di stretta attualità. 

Luca Rossi non solo rende l'oggetto e la materia dell'opera marginali (recentemente ha presentato una serie di opere che giocano con l'arte moderna, usando unicamente le cose del "fai da te"), ma agisce, ed invita ad agire, in QUESTA dimensione micro e locale. In particolare tutti i progetti di Luca Rossi iniziano e finiscono "dove ci si trova in questo MOMENTO". Se la flessibilità nel movimento di cose e persone, ha contribuito allo stato di cirsi, il Sig. Rossi diventa ancora più fluido e flessibile, l'opera si trova sempre dove si trova lo spettatore. Si tratta di un nomadismo velocissimo ed immobile, quanto banale; opera e spettatore si trovano immediatamente nello stesso luogo, pur rimanendo immobili. E' il caso di uno degli ultimi interventi di Luca Rossi: siamo alla GAMeC di Bergamo, nella scena percepiamo elementi reali ed elementi che reali non sembrano, come un grande ammasso di materia al centro della stanza. Non sappiamo se questa "materia", ottenuta banalmente con un qualsiasi PROGRAMMA simile a photoshop, nasconda qualcosa o se non sia forse un sovraccarico formale, come se portassimo nella stanza del museo, contemporaneamente, tutte le opere passate da un dato punto. E questo sovraccarico formale, questa abbondanza di oggetti di cui possiamo godere, corrisponde impietosamente ad un vuoto di contenuti. Cosa rimane delle centinaia di opere che troviamo per le Biennali d'arte di tutto il mondo? E delle migliaia di post su Facebook o contenuti sul web? Contenuti e opere a cui noi tutti possiamo contribuire, armati di iPhone, e che possiamo replicare e condividere ulteriormente e in modo esponenziale con i nostri amici e conoscenti.




Estratti da "Il Radicante" di Nicolas Bourriaud: 



"E' quanto sta avvenendo in quest'inizio di XXI secolo, in cui predominano in tutti i campi del pensiero e della creazione il transitorio, la velocità e la fragilità, instaurando quello che si POTREBBE chiamare un regime precario dell'estetica."


"Invece che subirla o resistervi per inerzia, il capitalismo globale sembra aver fatto propri i flussi, la velocità, il nomadismo? Allora dobbiamo essere ancora più mobili. Non farci costringere, obbligare, e forzare a salutare la stagnazione come un ideale. L'immaginario mondiale è dominato dalla flessibilità? Inventiamo per essa NUOVI significati, inoculiamo la lunga durata e l'estrema lentezza al cuore della velocità piuttosto che opporle posture rigide e nostalgiche. La forza di questo stile di pensiero emergente risiede in protocolli di messa in cammino: si tratta di elaborare un pensiero nomade che si organizzi in termini di circuiti e sperimentazioni, e non di installazione permanente,perennizzazione, costruito. Alla precarizzazione dell'esperienza opponiamo un pensiero risolutamente precario che si inserisca e si inoculi nelle stesse reti che ci soffocano."

"...un arcipelago di insurrezioni LOCALI contro le rappresentazioni ufficiali del mondo."


"E' al MOMENTO dell'esodo in effetti che gli ebrei si mettono in viaggio lasciando dietro di sé la macchina di statue egiziane i suoi dèi pesanti è strettamente codificati le sue piramidi e la sua ossessione per l' immortalità. L'esodo, scrive Peter Sloterdijk, rappresenta il momento in cui "tutte le cose devono essere rivalutate dal punto di vista della loro trasportabilità e si deve essere pronti a correre il rischio di lasciare dietro di sé tutto ciò che è troppo pesante da portare per gli uomini".






"the world is only what you see now" 

Venezia (Arsenale e Giardini), 6 marzo 2015 – a tempo indeterminato

Info: whiteblog.rossi@gmail.com







If you do not understand a thing look it on you tube

various materials.

Luca Rossi
2015


























All all where you are

jackets fished from the sea, screen, various materials.

Luca Rossi
2015

































Le immagini che vedete sono state prelevate dalla cartella stampa diffusa dalla Biennale stessa. 

Nel primo intervento in alto, non capiamo l'opera. L'opera è una sigla; sembra una delle tante password che ci chiedono incessantemente. Se seguiamo il titolo, ossia le intenzioni dell'artista, scopriamo un enorme quantità di piccoli video, che in tutto il mondo le persone mettono su You Tube direttamente dal loro cellulare, senza neanche attribuire un titolo ma lasciando che il cellulare attribuisca come titolo una sigla "d'ufficio". In questo modo abbiamo una selezione video in continua crescita e mutamento. Video spesso marginali, prove fatte in casa; situazioni disparate che esprimono bene la casualità e la bulimia di contenuti a cui siamo sottoposti. In questo caso però la grande scultura posta in biennale tenta di fare la differenza, fa una scelta.  







All all all where you are

wire, spotlight, fire extinguisher, rolling, stains, screen, various materials.

Luca Rossi
2015











Nel secondo intervento l'opera (una grande installazione che riempie velocemente lo spazio) può vivere solo dove vi trovate, intorno e davanti a voi. La presenza di elementi reali e para-reali, crea una tensione tra realtà e immaginazione. L'opera come fosse un "buco nero" ad alta forza gravitazionale, sembra aver risucchiato nella nostra dimensione privata tutto il processo che va dall'accensione delle luci nello studio dell'artista fino all'ultimo spettatore che esce dal museo. L'opera lavora solo nella dimensione privata e locale di autore e spettatore. L'opera non è più un rito collettivo da consumare in un dato luogo-museo, ma qualcosa da vivere nella propria dimensione micro e locale. 



Portrait

sunlight, a place, iron, cement, screen.

Luca Rossi
2015































Nel terzo intervento, in una sala della Biennale, l'opera unisce ancora elementi reali e para-reali. In questo caso una parete bianca permette di vedere le macchie che abbiamo sul nostro schermo, sia esso del computer, dell'iPad o del cellulare. L'opera è veramente dove ci troviamo. Una forma di appropriazionismo assolutamente unica, perchè consapevole di un nomadismo di opera e spettatore, velocissimo e allo stesso tempo immobile. 



September 10, 2001

stage, polyester resin, polyurethane, human hair, paint, chairs, clothes, various materials.

Luca Rossi
2015 







Nel quarto intervento ancora uno dei tanti luoghi della Biennale. In questo caso la luce, incontrando un luogo, forma l'opera. Tutto questo davanti ad un ritratto divertito, un naso e due occhi che si stagliano nel muro. In mancanza di un contesto critico capace di fare le differenze tra le opere, l'ennesima opera d'arte esiste solo perchè le pubbliche relazioni tra curatore, artista e istituzione hanno incontrato un dato luogo. L'opera si forma come se le pubbliche relazioni fossero raggi tra punti, e questi incontrassero un luogo dato. L'opera esiste ma in realtà la stanza è vuota. Infatti l'incapacità di fare le differenze porta ad un sovraccarico formale (come se portassimo tutte le opere del mondo in una data stanza) che alla fine risulta essere una grande vuoto, perchè un pieno che satura e annulla lo spazio. Inoltre l'opera cambia in base al movimento del sole, come se il movimento macro del sole influenzasse la dimensione micro dell'opera. Tutto questo ragionamento avviene davanti ad un ritratto divertito che possiamo vedere nella parete davanti a noi. 



Nel quinto e ultimo intervento di Luca Rossi, l'intuizione delle sculture iperrealiste di Hanson trova un'esorbitazione. Tra le sculture iperrelaiste in altro a sinistra c'è anche Germano Celant. Nella biblioteca della biennale il pubblico diventa scultura, diventa opera, come in un grande selfie collettivo. La scena è ferma ad un momento prima (il titolo 10 settembre 2001, che fa riferimento ad un'altra opera di Rossi). Prima appunto di iniziare quel confronto e quel dialogo fertile tra pubblico, artisti e addetti ai lavori. 

Nel 2014 Luca Rossi ha ideato una serie di opere maggiormente convenzionali, proprio per avere degli espedienti utili per innescare questo dialogo. Potete vedere le opere in questo canale eBay (CLICCARE QUI: http://tinyurl.com/p7ovhmo)e potete dialogare con lo stesso Luca Rossi scrivendogli una mail (whiteblog.rossi@gmail.com), sentendolo su Skype o altro. 

eve rand 







COROLLARIO:


Intervista a Luca Rossi sulla "sua" Biennale di Venezia

MG: Quasi in contemporanea con la presentazione della Biennale di Venezia ufficiale, hai presentato la tua versione di Biennale. Giorgio Gaber cantava "la libertà è partecipazione". Ti ritrovi in questo concetto?

LR: Oggi tutti possono partecipare e ambire ai 15 minuti di celebrità, non ci sono più scuse. Nel "selfie" siamo tutti autori, spettatori e contenuto, e tutto può essere "celebrato" su internet (celebrity). Ma partecipare non significa necessariamente essere più liberi. La mia versione di Biennale rappresenta una sorta di "ecologia dell'arte": i visitatori possono rimanere immobili dove sono, il budget impiegato è pari a zero, la biennale è stata organizzata in circa due ore, il "museo della mostra" risulta dall'unione dei luoghi in cui si trovano i visitatori, eccetera. Invece di opporsi alla crisi che stiamo vivendo questa Biennale asseconda lo stato di crisi, e permette sicuramente una forma di libertà. Potremo dire che è una biennale "antifragile", citando il lavoro di Nicolas Taleb.
MG: Questa mostra mette in profonda discussione il rituale collettivo e pubblico della biennale.
LR: Visitare questa Biennale equivale a scorrere una pagina del mio blog. Si dice che durante l'esodo degli ebrei si sia passati dal monumento al documento, in quanto non era possibile trasportare effigi troppo pesanti. Anche noi stiamo vivendo un'esodo, da una certa concezione del mondo ad un'altra, dal fallimento postmoderno a qualcosa che Bourriaud chiama "altermoderno". Mi sembra interessante che questa mostra viva veramente solo nel "documento", ossia nella sua documentazione, abbandonando tutto quello che non serve.
MG: La Biennale sarà supportata da una Campagna Google Adwords in tutto il mondo. Puoi spiegare questa cosa?
LR: Dal momento che scorrere una pagina del blog equivale a visitare la mostra, molte migliaia di persone da tutto il mondo verranno portate a fruire della mostra partendo dalle ricerche che loro stessi faranno su Google, e quindi partendo da quello che stanno cercando, dai loro interessi.

MG: Pensi che il lavoro che sviluppi dal 2009 rappresenti una novità? La Biennale che proponi è formata da testo e immagini, saranno queste le opere d'arte del futuro?
LR: Anche leggendo un giornale siamo portati a percepire il mondo tramite testo e immagini. L'opera d'arte oggi dovrebbe essere una sensibilità e uno spirito critico per organizzare e vedere diversamente gli oggetti che abbiamo già. Non mi interessa la novità quanto una consapevolezza profonda sulla natura dell'opera d'arte, e quindi una nuova definizione di artista, di museo, di mostra e di visitatore. Questa consapevolezza ci fornisce la libertà e ci fa stare bene.